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Ecco come Padre Pio ha ridato vita al Giubileo

OSTENSIONE DELLE RELIQUIE DI SAN PIO E SAN LEOPOLDO MANDIC

Zoppicava, il Giubileo, i pellegrini erano pochi. A farli crescere ci hanno pensato due santi cappuccini, Leopoldo Mandic e, più ancora, Pio da Pietrelcina. Per quest’ultimo una ulteriore ricompensa per i molti guai e persecuzioni subiti in vita, anche per opera del papa Buono e di padre Agostino Gemelli, che nella relazione al Santo Uffizio non ebbe dubbi: «le stimmate? se le fa da solo».

Le loro salme, vigilate e scortate, sono giunte a Roma nel tripudio del popolo da Padova e da S. Giovanni Rotondo: ottanta mila persone commosse, che hanno atteso ore e ore per vedere, toccare, baciare la teca, far leggere ai santi attraverso il vetro le richieste di grazie. I gadget si sono presto esauriti. A S. Pietro resteranno sino all’11 febbraio. Da anni le loro tombe sono visitate e toccate da migliaia di fedeli, che non si accontentano di venerarli e pregarli solo da lontano, li vogliono vicini, presenti materialmente in modo che la loro trasmissione di grazie sia più forte.

Fede o fanatismo? Razionalisti e laicisti scuotono la testa e sorridono, vi leggono un revival di superstizione nel mondo della televisione e del computer, dei viaggi interspaziali e dei trapianti. Per gli anticlericali si tratta di un’operazione promozionale per fini di potere e danaro. Ma una cosa è certa, che le reliquie, dichiarate dalla modernità roba da medioevo, stanno dovunque tornando. I preti le avevano gettate via ma la natura umana è più forte dei loro calcoli. Dopo il Concilio Vaticano II (Lutero lo aveva fatto quattro secoli prima) si voleva purificare la Chiesa, liberarla dalle sovrastrutture. Anche le reliquie furono rottamate. Nascoste, gettate, vendute al mercato delle pulci.Ma non c’era stato un commercio truffaldino delle reliquie? E le Chiese che le ospitavano non ne traevano grandi vantaggi? Il Boccaccio da maestro l’aveva descritto nella novella di frate Cipolla, che mostra la penna dell’agnolo Gabriello. Le spine della corona di Cristo, le cinture della Madonna e le Veroniche, sono davvero troppe. Come, in Islam, i peli della Barba di Maometto. O in India i denti di Buddha.

Abusi, certo. Che non cancellano tuttavia ciò che la fenomenologia ha mostrato in tutte le religioni: il fedele con le sue azioni cerca la potenza (non il potere) e anche le reliquie, per il fatto che appartenevano ad un Santo, possono trasmetterla. Come nel sacramento dell’eucaristia ciascuna parte dell’ostia, per quanto piccola, è carica di fluido soprannaturale: ecco perché le reliquie venivano spezzettate in tante particole. Potevano essere reliquie anche quelle che avevano toccato in qualche modo altre reliquie. Tutte, infatti, essendo state in contatto con l’uomo santo, conservano ciò che i melanesiani chiamano «mana», ossia «la forza misteriosa che alcuni individui posseggono, riflesso di quella cosmica che emana dalla divinità» (Eliade, Trattato di storia delle religioni). Essi non la tengono per sé, ma la trasmettono agli altri e li beneficano rendendoli pieni di forza. Anche se implica sacrifici, la religione non è rinuncia, ma esprime «volontà di potenza».

A tal punto l’uomo non può fare a meno di reliquie, che le società laiche e anche atee conservano questo culto (si pensi a Napoleone agli Invalidi o Lenin nella piazza Rossa). Spesso dei geni e degli eroi morti verranno fatti i calchi del volto e anche delle mani. E se ne conserverà a parte il cuore. Le donne del romanticismo custodivano, nel medaglione appeso sul petto, una ciocca di capelli della persona amata e perduta. E anche nella nostra civiltà tecnologica alcune reliquie sono state acquistate all’asta a prezzi iperbolici: una cicca di sigaretta fumata da Marilina, un’unghia del piede di Presley, le corde delle chitarre dei Beatles, il pallone che vinse il Mundial. Tutte esprimono la potenza dei nuovi santi della civiltà del benessere.

Ma, si dirà, in questi casi è commercio, collezionismo e anche idolatria. Forse, ma non solo: c’è dietro la venerazione per le qualità straordinarie della persona cult, di cui si conservano le reliquie. Mal posta, ma anche sincera. La verità indiscutibile è che, nella mente dei fedeli, «santo è chiunque possiede potenza» (van der Leeuw, Fenomenologia della religione). E rivela questa potenza non solo durante la vita, ma ancor più da morto. La Chiesa cattolica richiede, per dichiararne la santità, che uno abbia compiuto miracoli dopo la morte.

Come ha scritto Mircea Eliade (Mito e realtà) i miti (nel senso di storia sacra riattualizzata nel rito) sopravvivono e si camuffano. La nostra società, irreligiosa e postcristiana, non ne ha meno delle altre. Dato che senza miti (e senza reliquie) l’uomo non può vivere. Nonostante abusi, frodi e lotte, il culto delle reliquie testimonia la fede in ciò che il paleontologo gesuita Teilhard de Chardin chiamava «trasfigurazione della materia», ossia nella sublimazione del corpo in pura e potente spiritualità (L’ambiente divino).L’uomo o crede in Dio o crede in un idolo. In entrambi i casi ha bisogno delle reliquie, questi brandelli di materia carichi di soprannaturalità. Parti del corpo o di oggetti che toccarono il Super-uomo e ne conservano il fluido. Ricordi del passato solo perché possono divenire potenza nel presente.

(Pubblichiamo questo articolo uscito sul quotidiano Italia Oggi diretto da Pierluigi Magnaschi grazie all’autorizzazione del gruppo Class Editori)


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