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Il Family Day, Giorgia Meloni e la scommessa di Pascal

Giorgia Meloni e Andrea Giambruno

L’altro ieri su queste colonne ho espresso il mio dissenso con talune parole d’ordine del Family Day. Oggi, anche dopo quanto è accaduto all’on. Giorgia Meloni, esprimo il mio dissenso con quanti le stanno utilizzando per rilanciare un anticlericalismo aggressivo e sguaiato. Nel crescendo rossiniano di fanatismi ideologici e di propaganda di bassa lega che ormai pare caratterizzare la sfida tra lo schieramento neoguelfo e lo schieramento neoghibellino, viene da dire: andiamo a letto, che è notte fonda. Domani è un altro giorno, e c’è tanto da fare.

Anzitutto, bisognerebbe evitare che la ragione laica perseveri nel suo peccato moderno (la pretesa di spiegare perfino il senso della vita). E bisognerebbe evitare che la Chiesa dei vescovi italiani ricada nel suo errore medievale (la pretesa di dettare regole alla società). Intendo dire che ci vorrebbe una ragione più austera, più consapevole dei propri limiti. E che, insieme, ci vorrebbe una fede più umile nell’amministrazione della sua verità.

Non sono un credente e non sono molto ferrato in teologia. Penso, comunque, che in ogni autentica esperienza religiosa ci sia sempre qualche elemento di incertezza e di dubbio, connaturato a quella che Pascal definiva la scommessa sull’esistenza di Dio. Resta il fatto che quando discutono di famiglia o di bioetica, di matrimonio o di morte degna, diversi leader politici e improvvisati arruffapopoli sembrano disposti a manipolare il confronto tra valori per meschini interessi di partito o di bottega elettorale.

Purtroppo, nella lotta politica dietro l’esibizione dei valori si nasconde spesso un trucco, una manovra strumentale. Come, nel caso della discussione al Senato sul disegno di legge Cirinnà, da un lato la rivendicazione del voto segreto (appigliandosi ai regolamenti dell’Aula) e, dall’altro, la rivendicazione della “libertà di coscienza”(magari “concessa” magnanimemente da un capo). Insomma: c’è chi vuole la libertà di coscienza nelle decisioni sui valori cosiddetti “non negoziabili”, ma la vuole nel segreto dell’urna (magari per poterli negoziare un po’).

Una posizione di diffidenza, dunque, per il momento mi sembra l’unica ragionevole. Non per negare i valori, ma il loro raggiro da parte di chi continua disinvoltamente a mescolare l’etica pubblica (le norme) con le convinzioni private dei cittadini.


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