L’incontro fra il presidente Sergio Mattarella e Barack Obama segna un passaggio non banale nella storia settantennale delle relazioni bilaterali fra Italia e Stati Uniti. Il ritorno della storia e della geografia ha determinato uno scenario di insicurezza globale che preoccupa molto Washington e tutte le principali capitali della diplomazia. Il ruolo dell’Italia in questo senso è molto meno banale di quanto non possa apparire anche agli occhi di chi nel nostro Paese vive. La proiezione internazionale delle nostre forze armate e la mappa dei nostri investimenti segna infatti un’area molto estesa che incrocia diversi quadranti.
Alla Casa Bianca si è parlato molto di Iraq, del nostro sforzo nel garantire la sicurezza ma anche dell’impegno delle nostre imprese (la Trevi in particolare) per la diga di Mosul, una infrastruttura fondamentale per tutta la regione. Si è parlato un po’ meno di Libia. Questo argomento, che preoccupa non poco entrambi i governi, è infatti parte di una più ampia strategia di contrasto alla minaccia dell’Isis. Paolo Gentiloni e Joe Biden, entrambi presenti nello studio ovale, hanno ricordato con orgoglio il vertice tenuto alla Farnesina pochi giorni fa.
L’Italia c’è, a volte esprimendo una posizione particolare rispetto ad altri alleati europei ma non per questo non meritevole di attenzione. Timori sono stati espressi quindi non solo per la sorte del paese per troppo tempo governato da Gheddafi ma anche e soprattutto per l’Egitto, uno Stato chiave per le sorti del Mediterraneo e del Medio Oriente (una speciale attenzione è rivolta alla zona al confine con Israele). Il governo di Al-Sisi inizia a mostrare crepe e dopo cinque anni dalle primavere arabe la stabilità è ancora un miraggio.
L’Italia ha buone relazioni nel Mediterraneo e questo patrimonio, anche di intelligence, è a disposizione dell’Amministrazione per definire le scelte che possono rivelarsi più lungimiranti. Libia inclusa. Come sempre accade in un rapporto di amicizia profonda ed anche franca, non sono mancati anche i talking points più critici. In cima alla lista delle questioni aperte vi è infatti il Muos. Nella capitale degli Stati Uniti non riescono proprio a capire come sia possibile che un investimento così rilevante per la sicurezza delle comunicazioni satellitari possa essere bloccato in un groviglio giuridico inestricabile.
L’impianto di Niscemi in Sicilia, praticamente già costruito (con enormi ritardi a causa delle tortuosità amministrative tutte italiane), è bloccato dalla magistratura. Inutile capire dove si è determinato l’inghippo (la Regione di Crocetta certamente non ha favorito). Adesso, è il presidente Obama – per la seconda volta – a chiedere che il governo si faccia carico di risolvere il problema che ha tutte le caratteristiche per divenire un tipico incidente diplomatico. Mattarella, per quanto è dato sapere, ha confermato che Renzi con il suo sottosegretario De Vincenti ha già il dossier sul suo tavolo. Altra questione, meno rilevante ma altrettanto complicata dal punto di vista giuridico, è il caso dell’ex agente Cia, Sabrina De Sousa, coinvolta nel caso Abu Omar e recentemente estradata in Italia dalla corte di appello di Lisbona.
Insomma, politica estera e di sicurezza hanno dominato una conversazione non rituale fra i rappresentanti di due democrazie alle prese con le turbolenze internazionali ed anche interne (negli Usa si sta entrando nel vivo di una campagna elettorale particolarmente accesa). Nella dimensione di tutte le sfide che ci attendono, una buona notizia c’è di sicuro. Le due sponde dell’Atlantico vanno avvicinandosi e questo è un bene da coltivare e consolidare.