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Come e perché gli Stati Uniti hanno bombardato Isis in Libia

Gli Stati Uniti hanno bombardato un training camp dello Stato islamico in Libia, nel tentativo di uccidere Noureddine Chouchane, una delle menti dietro agli attacchi che hanno colpito la Tunisia qualche mese fa. Due F15E americani hanno colpito la Libia intorno alle 3:30 di mattina, stando alle fonti che hanno parlato con il New York Times. Il Pentagono ha confermato.

Il quotidiano aggiunge che gli aerei americani hanno centrato una casa colonica nel distretto di al Qasser di Sabrata, nell’ovest del Paese, a 70 chilometri da Tripoli. Si pensa che l’edificio sia parte di un campo d’addestramento dello Stato islamico.

LA GUERRA DALL’ALTO
L’intelligence americana non ha ancora stabilito se Chouchane è tra le vittime. Il bombardamento che ha colpito un centro di comando (e addestramento) ha ucciso circa quaranta reclute dello Stato islamico, in maggior parte tunisini, a quanto pare dalle dichiarazioni del media office di Tripoli, che sottolinea che in ospedale sarebbe morto pure un baghdadista giordano e forse due marocchini (tutti accusati per gli attentati del Bardo).

Da giovedì girano voci sull’intenzione della Casa Bianca di intensificare in Libia la campagna di attacchi droni e renderla serrata come quella che sta già interessando Yemen, Afghanistan (e Pakistan) e Somalia: raid puntuali contro leader di alto livello o assembramenti dello Stato islamico. Un passo indietro rispetto agli annunci delle ultime settimane, in cui si pensava alla Libia per l’ampliamento delle operazioni siro-irachene contro il Califfato. Il funzionario che ha parlato con il NYTimes ha sottolineato che questi attacchi non rappresentano l’inizio di una grande campagna militare americana, sebbene il raid odierno è la più grande operazione americana in Libia di quest’anno.

Nel mese di novembre 2015 gli americani hanno ucciso Abu Nabil, noto anche come Wissam Najm Abd Zayd al Zubaydi, un iracheno che ha guidato il braccio dello Stato Islamico in Libia, colpito da un altro attacco aereo sulla città di Derna, nella zona orientale.

I jet da bombardamento americani operativi prima dell’alba di venerdì hanno lavorato sotto la direzione di Africom, il comando del Pentagono che gestisce le operazioni in Africa e che ha sede a Stoccarda, in Germania. La BBC parla del fatto che basi britanniche sono state “coinvolte” nell’attacco, dunque è possibile che i due aerei siano decollati dal Regno Unito, probabilmente da Lakenheath.

IL BERSAGLIO

Chouchane (il suo nome de guerre è Sabir, riporta la dichiarazione ufficiale del Pentagono) è definito da una fonte della CNN “a senior operative”: ha circa trent’anni e viene da Chouachnia nel governatorato di Sidi Bouzid, una zona che è un terreno fertile per molti jihadisti. Sarebbe stato coinvolto come pianificatore nell’attacco al museo tunisino del Bardo lo scorso marzo, in cui sono morte 19 persone. La Tunisia aveva emesso un mandato d’arresto per Chouchane dopo la sparatoria al museo, ma il sospetto ha eluso la cattura e tre mesi dopo è riuscito ad organizzare, secondo quanto riportato dal Nyt, un altro attacco di alto profilo: un uomo armato travestito da turista aveva aperto il fuoco contro gli ospiti di un resort sulla spiaggia di Sousse, uccidendo 38 persone, di cui 30 erano di nazionalità britannica.

Prima del 2013 pare che viaggiò verso l’Italia in cerca di lavoro: tornato in Tunisia disoccupato, si unì ad Ansar al Sharia.

SABRATHA

La cittadina di Sabratha si trova vicino al campo petrolifero di Mellitah, che è l’hub libico dell’italiana Eni. Sul posto, secondo varie segnalazioni arrivate nel corso degli ultimi sei mesi, sarebbero presenti gruppi di forze speciali, anche italiane, inviate con il fine di raccogliere informazioni di intelligence sulla presenza dello Stato islamico e sui movimenti dei leader. L’airstrike odierno è la testimonianza che questa attività è in corso.

Nell’area il ruolo dei baghdadisti è stato sempre defilato: hanno proceduto con il controllo del territorio, hanno costruito centri di reclutamento e addestramento (forse utilizzando anche le strutture esistenti, e i network, di Ansar al Sharia tunisina, che a Sabratha faceva base), ma senza mai dichiarare prepotentemente la propria presenza. Un paio di mesi fa, un grosso corteo di uomini dello Stato islamico a bordo di pick-up armati ha sfilato per le vie della città, ma si trattava di una dimostrazione muscolare per forzare il rilascio di tre combattenti che erano stati imprigionati da una milizia locale.

Ufficialmente Ansar al Sharia in Tunisia, che è qaedista e dunque nemica dello Stato islamico, non ha dichiarato fedeltà al Califfato, ma i legami doppi tra i due gruppi sono vari grazie alle varie defezioni. Nell’area di Sirte, centinaia di chilometri più a est, per esempio, la componente libica dell’organizzazione è smottata per larga parte, con tutto il proprio network territoriale, all’interno dello Stato islamico.

LA TUNISIA

Il paese nordafricano è da sempre il bacino di attingimento più grosso per i foreign fighters che combattono in Siria e Iraq: ora la vicinanza geografica con la Libia è ovvio che rappresenti una facilità in più per questi uomini che intendono unirsi al jihad califfale. Da tempo si pensa che ci siano dei punti di aggregazione e addestramento in Libia nei pressi del confine. Inoltre, un attentato compiuto qualche mese fa contro un autobus della Guardia presidenziale (con una dinamica molto simile a quello avvenuto mercoledì ad Ankara) ha dimostrato che le rotte attraverso il suolo libico sono particolarmente agevoli per gli uomini di Abu Bark al Baghdadi. A compiere l’attacco fu infatti un kamikaze tunisino che faceva parte dei combattenti della provincia settentrionale siriana di Hasakah: ciò significa che i soldati di Baghdadi su certe strade hanno ampia possibilità di muoversi, e dunque, per direzione inversa, i campi di addestramento libici potrebbero servire non solo per uomini da dispiegare a livello locale, ma anche per addestrare chi deve partire per altri fronti.

Il fatto che gli Stati Uniti intervengano per colpire un terrorista ricercato dalle autorità tunisine, facendo di fatto un piacere alla polizia di Tunisi, si allinea con la volontà dimostrata del presidente Obama nell’incontro con l’omologo Beji Caid Essebsi dello scorso maggio. In quell’occasione Obama definì la Tunisia di Essebsi “il maggior alleato non-Nato” degli Stati Uniti: il sostegno occidentale al paese, soprattutto dalla Casa Bianca, arriva anche perché l’esperienza tunisina post Primavera Araba è l’unica che (tra mille difficoltà) può essere definita positivamente ─ anche per questo il paese è spesso bersaglio di attacchi da parte dello Stato islamico, che lo dichiara uno stato islamico inquinato dall’Occidente.

(Articolo in aggiornamento)

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