Il prezzo del greggio è salito di oltre il 2% dopo che mercoledì il ministro del Petrolio iraniano Bijan Zanganegh ha accolto favorevolmente e sostenuto l’iniziativa di Russia e Arabia Saudita per congelare le produzioni.
I ministri di Mosca e Riad, i più grandi produttori di petrolio al mondo (rispettivamente fuori e dentro l’Opec), s’erano trovati d’accordo sulla necessità di un congelamento delle estrazioni, fissandole alle quantità, già elevate, di gennaio 2016. Sull’intesa però c’è il peso vincolante degli altri paesi produttori, e in particolare grava la posizione di Teheran, che si trova in una fase in cui il sollevamento delle sanzioni ha riaperto le esportazioni e dunque non ha intenzione di limitare le produzioni. Sebbene anche la Repubblica islamica potrebbe beneficiare del riflesso di mercato, secondo cui diminuendo l’offerta dovrebbe aumentare il prezzo del prodotto. In particolare, un rialzo dei prezzi potrebbe riaccendere l’interesse per gli investitori, circostanza che per l’Iran significherebbe la possibilità di ammodernare le datate strutture.
LA POSIZIONE IRANIANA
Zanganegh ha dato una risposta diplomatica, non ha dichiarato l’adesione all’accordo, ma ha detto di “sostenere” quanto deciso in Qatar da russi e sauditi qualche giorno fa; alla riunione era presente anche il ministro venezuelano, ed è stato lui ad occuparsi di riunire mercoledì a Teheran iraniani e iracheni per cercare di ampliare l’intesa.
L’Iran si mette su una posizione interlocutoria, non rifiuta la rifiuta, facendo così saltare l’intera negoziazione, ma nemmeno decide di avallarla subito: la sostiene. È una linea politica che serve a prendere tempo in un momento delicato per Teheran: venerdì 26 febbraio ci saranno le elezioni per il rinnovo del Parlamento e dell’Assemblea degli Esperti (organo teocratico che elegge la Guida suprema), e si vedrà come i cittadini hanno accolto il deal sul nucleare, ossia si vedrà se la linea dei moderati (per così dire) del presidente Hassan Rouhani e del ministro degli Esteri Jawad Zarif prevarrà sui falchi.
È probabile che pochi mesi dopo l’accordo sulla rinuncia formale a diventare una potenza nucleare, mediato con il Grande Satana americano, accettare un’intesa proposta dai cugini apostati sauditi (Iran e Arabia Saudita sono i due paesi che rappresentano gli antipodi dottrinali interni all’Islam), per parte degli elettori della Repubblica islamica sciita sarebbe stato un colpo culturale forse troppo forte. E come si sa, in fase elettorale i voti contano e servono tutti, soprattutto considerando che il collegio di controllo dei candidati, guidato dai Guardiani, ha cassato la gran parte dei moderati dalle liste degli eleggibili.