Skip to main content

Tutte le mosse di Francia, Turchia e Visegrad sui migranti

È una partita dagli esiti non scontati quella che si gioca in queste ore in Europa sui destini di Schengen, il trattato sulla libera circolazione dei cittadini Ue che potrebbe essere sospeso in risposta all’emergenza migranti. Il 18 e 19 febbraio, a Bruxelles, un nuovo vertice dei capi di Stato e di governo dell’Unione sarà chiamato a discutere delle nuove misure proposte dalla Commissione per fronteggiare i flussi e dei passi compiuti nella gestione della crisi. Un fronte, quello comunitario, che a pochi giorni dal summit appare però sempre più spaccato: da Monaco la Francia ha attaccato la Germania, rifiutando il meccanismo di quote obbligatorie desiderato dalla cancelliera tedesca Angela Merkel; i Paesi dell’Est uniti nel cosiddetto gruppo Visegrad lamentano la mancanza di un piano B; mentre la Turchia – futura beneficiaria di un sostegno di circa 3 miliardi di euro per accogliere e trattenere sul proprio territorio i profughi provenienti dalla Siria – continua a rifiutare i piani proposti dal Vecchio Continente.

LE PAROLE DI VALLS

La crepa più grossa, forse perché la più inaspettata, è quella che pare rompere il tradizionale asse franco-tedesco. Da Monaco, in Baviera, a margine della conferenza nazionale di Monaco – racconta La Stampa – il premier francese Manuel Valls ha lanciato sabato scorso “il suo messaggio risoluto, gelando il partner di sempre”. “Non possiamo accogliere tutti i rifugiati”, ha detto. La politica tedesca sui profughi “non è sostenibile nel lungo periodo” e Parigi “non è favorevole” ad un meccanismo di quote permanenti per la ripartizione dei rifugiati nell’Ue così come proposto dalla Merkel”.
Una faglia, aggiunge il quotidiano diretto da Maurizio Molinari, “che si potrebbe allargare fino a Bruxelles e alle mosse future della Commissione Ue su una partita cara all’Italia: la revisione del regolamento di Dublino”. Sono sei – rammenta Repubblica – i Paesi dell’area Schengen “che hanno attualmente in corso i controlli alle frontiere interne: Danimarca, Francia (in seguito agli attacchi terroristici), Germania, Austria, Norvegia e Svezia”.

LA STRATEGIA DEL GRUPPO VISEGRAD

Chi non resta fermo è anche il cosiddetto Visegrad, il gruppo di Paesi del centro Est di cui fanno parte Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria e Polonia. Oggi, spiega Reuters, il primo ministro ceco Bohuslav Sobotka ha convocato una riunione dei quattro Stati per discutere una posizione comune da tenere in vista del vertice Ue di giovedì e venerdì. La loro idea, racconta l’agenzia, è che l’Europa “debba essere pronta ad avere piani alternativi per rinforzare i suoi confini fino a che Grecia e Turchia non faranno di più per ridurre il numero di rifugiati che affluiscono in blocco”.
L’affondo dei componenti è soprattutto nei confronti di Atene e Ankara: la prima non farebbe “il proprio dovere” e non sarebbe stata “in grado di proteggere i confini”; la seconda di non aver ancora rispettato “gli accordi presi con l’Ue”.

GLI ATTACCHI ALLA GRECIA E LE CONCLUSIONI UE

Delicata la posizione di entrambi i Paesi. Su Atene si sono scagliate, infatti, anche le critiche della Germania, mai troppo tenera nei confronti del Paese ellenico. “Noi – ha detto ministro dell’Interno tedesco Thomas de Maiziere il 25 gennaio alla riunione dei ventotto ministri degli Interni dell’Ue ad Amsterdam – eserciteremo pressione sulla Grecia affinché faccia i suoi compiti. Vedremo a che risultati si arriverà nelle prossime settimane. Vogliamo mantenere Schengen. Vogliamo – ha affermato il politico teutonico – soluzioni comuni europee, ma il tempo stringe”. Parole che hanno gettato ulteriore benzina sul fuoco.
I “compiti” di cui parla il membro dell’esecutivo tedesco è alla creazione ed il funzionamento degli hotspot che Roma e Atene stanno realizzando per identificare, registrare e prendere le impronte digitali dei migranti in arrivo.
Un lavoro che, malgrado le critiche tedesche, Bruxelles sembra apprezzare, come si evince da alcuni passaggi della bozza delle conclusioni del vertice del 18 e 19 febbraio venute in possesso dell’Ansa: “Con l’aiuto della Ue”, si legge nel documento, “la creazione ed il funzionamento degli hotspot in Italia e Grecia sta gradualmente migliorando per quanto riguarda identificazione, registrazione e presa delle impronte digitali, tuttavia molto resta da fare, in particolare per le strutture di accoglienza necessarie per sistemare i migranti in attesa che la loro situazione venga chiarita”. Quanto alla Turchia ha fatto “passi importanti” per la messa in atto del piano d’azione concordato con la Ue, con cui vi è un accordo da tre miliardi di euro, per concedere ai rifugiati “l’accesso al mercato del lavoro” e “la condivisione dei dati con la Ue”. Tuttavia, si rimarca in conclusione, “il flusso di migranti che arriva in Grecia dalla Turchia resta ancora troppo alto e questo richiede ulteriori, decisivi sforzi”.

LE MOSSE DI ERDOGAN

Convitato di pietra al summit di Bruxelles sarà proprio Ankara, che con l’Unione sta conducendo da tempo un braccio di ferro per raccogliere il massimo dall’emergenza che affligge il Vecchio Continente. Dopo aver concordato un piano da circa 3 miliardi di euro per offrire ulteriore assistenza umanitaria ai rifugiati in Turchia e alle comunità che li ospitano (intesa frenata anche da Roma che l’ha inserita nel più vasto negoziato che Palazzo Chigi sta conducendo per avere maggiore flessibilità sui conti pubblici da parte dell’Europa), il presidente turco Recep Tayyip Erdoganriporta Euronews – si è opposto all’appello dell’Onu perché Ankara riapra i confini, criticando “l’azione condotta fino ad ora dalle Nazioni Unite e ricorda di aver speso 10 miliardi di dollari a fronte dei 455 milioni messi a disposizione”. Dichiarazioni che si collegano a quelle fatte contro la Russia, accusata, con i suoi bombardamenti in Siria a sostegno di Bashar al-Assad e contro l’Isis, di aver fatto lievitare a dismisura il numero dei senza casa che si dirigono in Turchia in cerca di rifugio.

L’EUROPA CHE IMPLODE

Per Eleonora Poli, associate fellow di area Europa dell’Istituto affari internazionali, il dibattito di queste ora non porterà forse a una sospensione di Schengen, ma se lo facesse sottrarrebbe a una vasta popolazione del Vecchio Continente, già fortemente euroscettica, l’unico elemento positivo della propria esperienza di cittadinanza europea. “Le divisioni aumentano – spiega a Formiche.net – perché manca la giusta concertazione. Ogni Paese conduce il dossier basandosi sul proprio interesse nazionale, senza favorire una strategia comune. Lo fa la Francia, che ha in casa una situazione molto difficile sia dal punto di vista economico, con un’economia che non cresce a sufficienza, sia politico, con il Front National di Marine Le Pen che avanza e un’insicurezza generale data dai recenti attentati”. Ma, prosegue la ricercatrice, “lo fanno anche i Paesi del Visegrad, che si sono finora sentiti esclusi dalle grandi scelte europee, in capo soprattutto a Berlino”. La Turchia, invece, conclude Eleonora Poli, “sa di avere il coltello dalla parte del manico e continuerà a sfruttare le divisioni del Vecchio Continente. Un’altra ragione per dimostrare, una volta per tutte, la necessaria unità”.



×

Iscriviti alla newsletter