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Pubblica amministrazione, la melina delle Regioni sulla rappresentatività sindacale

Nella trattativa in corso tra Aran e confederazioni sindacali per definire il testo del Contratto collettivo nazionale quadro (Ccnq) sulla rappresentatività sindacale nella pubblica amministrazione, è finora mancato un interlocutore di rilievo. Chi? Le regioni.

I sindacalisti lo sanno: ai tavoli Aran, la loro presenza è “discreta”, fatta di passaggi semiufficiali, dietro le quinte, e di passaggi ufficiali (ma nella veste delle tre rane).

Ma finora, le regioni non si sono né viste né sentite, neppure da lontano. Fatto inusuale, mai successo nei Ccnq precedenti. Perché questa assenza? Gli osservatori del ramo, pur esperti, non sanno rispondere.

Eppure, eppure le regioni non possono essere bypassate. In sanità, gestiscono l’80% della spesa sanitaria. A loro, poi, competerà la gestione di larga parte del personale amministrativo di regioni ed enti locali, il cui percorso lavorativo potrà essere stravolto dalla nuova articolazione dei comparti pubblici.

Anche il ministro Marianna Madia, competente per materia, tace su questo aspetto, dicono gli addetti ai lavori e i sindacalisti. Sergio Gasparrini (presidente Aran) sta cercando di guadagnare tempo. Ma, dal 16 dicembre ad oggi, di tempo ne è già passato tanto, si bisbiglia nelle organizzazioni sindacali.

Quindi? Quindi, a giorni, dovrà proporre alle confederazioni una soluzione scritta sui nuovi comparti. Una soluzione che includa anche un impegno scritto sulla fase transitoria, ossia sulla conferma dell’attuale rappresentatività sindacale fino alla nuova rilevazione delle deleghe (dicembre 2017).

Non è più il tempo delle “ciacole”; è tempo di patti sottoscritti, mormora qualche sindacalista del nord ma che segue le vicende romane.


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