Il tema di oggi riguarda il destino dell’Europa rispetto alla questione dei rifugiati. Una questione difficile, poiché pone problemi umanitari, demografici, economici, di sicurezza, di collaborazione.
È sin troppo chiaro che dal punto di vista umanitario il respingimento dei profughi è una forma di barbarie, una risposta che rivela impotenza rispetto a una crisi imprevista ma prevedibile. Tutto ciò che è alla base della cultura europea, dallo spirito di tolleranza al rispetto dei diritti umani, impone di affrontare in maniera coerente e seria l’arrivo di decine di migliaia (saranno milioni) di profughi che sfuggono alla guerra, alla fame, alla dittatura.
Non si può immaginare che i profughi siano tutti buoni perché profughi e tutti pronti a integrarsi in una società apparentemente avanzata come quella europea. D’altra parte non c’è dubbio che il loro arrivo massiccio ponga problemi di accoglienza, assistenza e integrazione, cioè problemi etici ed economici in un momento in cui l’Europa è in crisi. Tuttavia la soluzione non sta nel chiudere gli occhi rispetto alla realtà; sta piuttosto nella necessità di elaborare insieme ipotesi di soluzione.
Il caso dei Paesi balcanici che formano un gruppo chiuso al passaggio dalla Grecia verso il nord è esemplare. Esso in pratica si traduce nella trasformazione della Grecia in una sorta di campo di accoglienza permanente o quasi, come già la Giordania o la Turchia. Ma si dà il caso che la Grecia appartenga all’Unione europea. Perciò diviene obbligatorio chiedersi se il comportamento seguito nei suoi confronti, tenuto conto delle difficoltà in cui la Grecia versa, sia palesemente contrario allo spirito e alle norme dell’Unione.
Desta sorpresa che gli ultimi arrivati nell’Unione svuotino con tanta facilità le norme che essi stessi dovrebbero seguire, chiudendosi all’interno di un muro che trasforma la Grecia in un campo di concentramento. Se la soluzione è questa, occorre dire che l’Unione europea non esiste più; oppure che i Paesi che decidono la chiusura debbono essere sanzionati. La corte di Giustizia, così sollecita in altri casi più discutibili e individuali, non ha nulla da dire in proposito? E può il resto d’Europa guardare senza reagire?
La risposta ovvia sta nel fatto che se si aprono le frontiere tutto poi si riversa sulla Germania e sui Paesi nordici. Nessuno di questi ha ancora capito che il futuro dell’Europa impone una forzata integrazione di mano d’opera a basso costo, poiché esistono lavori faticosi che gli europei antichi non intendono più fare? Oppure perché l’integrazione è un processo irreversibile, e lo sarà sinché i Paesi d’origine o saranno in pace o saranno economicamente in gradi di evitare il salasso dell’emigrazione.