Vladimir Putin ha un controllo quasi completo del sistema-paese Russia, diramandosi oltre la sfera politica, su economia, cultura, media, Difesa, e arrivando fino alla Chiesa ortodossa, con cui ha fatto in modo di creare un rapporto di mutuo interesse che permette al governo di beneficiare di una copertura spirituale e alla Chiesa di mantenere un ruolo centrale nella società.
UN MUTUO INTERESSE
Prima delle elezioni presidenziali del 2012, il patriarca di Mosca Cirillo (o Kirill) – lo stesso protagonista il 12 febbraio dell’ incontro storico con Papa Francesco a Cuba – dichiarò che la prosperità e la stabilità della Russia create da quando Vladimir Putin era salito al potere nel 2000, rappresentano un “miracolo di Dio”, criticando le opposizioni politiche che non facevano lavorare sereno il presidente.
Tra Chiesa ortodossa e governo russo c’è una mutua partecipazione: “la Chiesa non è semplicemente serva dello Stato”, scrive George Sokora su Foreign Affairs: piuttosto, almeno esteriormente, la Chiesa sembra godere di una certa influenza sul governo, e Putin e colleghi non perdono occasione di sottolineare questo imprimatur quando conviene ai propri interessi. Partecipano a manifestazioni religiose, si fanno fotografare in atteggiamenti di preghiera, pagano obbedienza: un modo per ricordare, anche dal punto di vista religioso, la centralità dell’identità nazionale nell’operato del governo. Tuttavia, spiega la rivista del Council on Foreign Relations, anche questa influenza è limitata a un aspetto di apparenza: “La verità cade nel mezzo, con il governo di Putin appoggiato alla Chiesa per ottenere una parvenza di legittimità storica e culturale, e la Chiesa al Cremlino per mantenere la propria posizione di arbitro morale della società”. E non va dimenticato che il primato de facto del Patriarcato di Mosca rispetto alle altre chiese ortodosse, dipende proprio dal sostegno della potenza geopolitica russa.
CERCARE IL CONSENSO
“Non è difficile capire perché Putin si legherebbe alla Chiesa” aggiunge Sokora. La Chiesa ortodossa è, stando anche a recenti sondaggi, l’istituzione che raccoglie la maggior fiducia da parte del popolo russo (seguita dall’esercito). Inoltre, secondo i dati del Pew Research Center, dal 1991 al 2008 il numero dei credenti è cresciuto dal 31 al 72 per cento. Per gli analisti, però, i russi si sono avvicinati alla Chiesa per affiliazione culturale e non di credo: esistono sondaggi che spiegano che in realtà molti cittadini rimangono scettici sui principali valori dogmatici della Fede. Ma è questa affiliazione culturale il dato politico, elettorale, che interessa a Putin, perché si ricollega a tutte le teorie dell’identità nazionale.
La Chiesa ortodossa, per il Cremlino, è un’entità da tenere vicina per secondi fini, un pezzo del grande progetto nazionalista neo-imperiale russo, un pilastro fondamentale, “A Church of Empire”, come ha scritto mesi fa il giornalista russo Sergei Chapnin sulla rivista cattolica americana First Things. D’altronde il territorio di influenza della Chiesa ortodossa di Mosca travalica storicamente i confini della Russia, e dunque diventa partner naturale nel progetto neo-zarista di Putin.
Un ufficio all’interno del Cremlino è uno dei simboli che rappresentano questo legame: più di sostanza la decisione del 2010 dell’allora presidente Dimitri Medvedev di restituire i beni confiscati dallo stato alla chiesa durante il periodo sovietico, oppure le laute elargizioni (per un totale di 256 milioni di rubli) alle varie organizzazioni religiose russe soltanto negli ultimi due anni.
Un altro esempio: in uno dei discorsi con cui Putin ha spiegato al popolo (e al mondo) l’annessione della Crimea nel 2014, il presidente ha ricordato che Vladimir il Grande fu battezzato proprio in Crimea, gettando così (negli anni prima del Mille) le basi culturali che uniscono Russia e Ucraina: “Un luogo sacro come il Monte del Tempio a Gerusalemme” definì la penisola per spiegarne la neo annessione. In quell’occasione, in apparente difficoltà visto che molte chiese ortodosse in Ucraina erano dall’altra parte della barricata, il patriarca Kirill non aveva preso posizioni, anche se successivamente parlò di come il nuovo governo di Kiev avesse fatto sparare contro le parrocchie locali e delle infiltrazioni dell’estrema destra nazista ucraina dietro ai manifestanti.
L’AZIONE ANTI-OCCIDENTALE
La Chiesa ortodossa ha da sempre contrastato l’individualismo promosso dal pensiero liberale, considerando storicamente “la società come un organismo comunale”, scrive Sokora. Oltre al momento critico che i cristiani stanno vivendo in diverse aree del mondo, tra i temi centrali dell’incontro tra il Patriarca russo e Papa Francesco all’aeroporto José Martì dell’Avana, a Cuba, ci sono state le questioni etiche, aspetti moderni dei due mondi in cui sono inserite le due chiese, spaccate dallo Scisma millenario. Argomenti su cui anche Putin ha più volte giocato per marcare la differenza culturale con l’Occidente: “Possiamo vedere come molti dei paesi euro-atlantici stanno in realtà rifiutando le loro radici, tra cui i valori cristiani che costituiscono la base della civiltà occidentale. Essi stanno attuando politiche che equiparano le grandi famiglie con partner dello stesso sesso, la fede in Dio con la fede in Satana” e altre riferimenti a questioni etiche come l’aborto, l’eugenetica, e così via, citate per esempio durante un discorso del 2013. Al di là della linea politica, queste dichiarazioni del presidente russo, che cercano la sponda religiosa, sono uno dei tasselli del continuo tentativo, portato avanti a colpi di leggi e di bavagli, di impedire la diffusione di posizioni culturali aperte, liberali, occidentali. Su questo si regge il consenso del “nuovo Zar”. La sponda di Kirill, “il guerriero culturale”, è stata facile da trovare, considerando le posizioni chiuse delle Chiesa ortodossa nei confronti delle influenze straniere (il proselitismo cercato da Roma in Russia e Ucraina è un altro dei motivi di divisione), e rappresentano benzina per le attuali mire geopolitiche russe, in opposizione all’Occidente. Un’altra arma della soft power del Cremlino. Un intreccio di realpolitik e teologia.
Secondo quest’ottica, lo stesso incontro di Cuba, una pietra miliare nella riconciliazione ecumenica iniziata da Giovanni Paolo II e sostenuta dall’attuale pontefice, assume anche le sembianze di un passaggio geopolitico. L’intento ufficiale è un riavvicinamento sulla linea del più volte citato “ecumenismo del sangue” e davanti alle nuove persecuzione dei cristiani in Medio Oriente e in Africa ad opera dell’Islam radicale (quelle palesi dello Stato islamico, per esempio, e quelle giornaliere, silenziose, continue, lo stesso forti anche se meno spettacolarizzate). Tuttavia, come detto al New York Times dallo storico Alberto Melloni, esperto di storia del cristianesimo, dietro all’incontro tra i due massimi esponenti religiosi, potrebbe esserci anche il tentativo di Putin di trovare una via laterale per uscire dall’isolamento internazionale in cui è stato posto dopo le vicende della crisi ucraina. Un passaggio, importante, probabilmente autorizzato da Putin (l’ambasciatore russo presso la Santa Sede, Aleksandr Avdeyev, ha evidenziato che a rendere possibile l’incontro sono stati anche i “rapporti personali” tra il pontefice e Putin nonché “le buone relazioni interstatali tra Russia e Vaticano”). Un pezzo di un progetto che in realtà Mosca ha avviato da tempo, ad esempio utilizzando le fanfare della propaganda per intestarsi la lotta al terrorismo globale, partendo dalla Siria. D’altronde, anche la visita di Putin a Papa Francesco è stata letta da molti come una pausa dell’isolamento occidentale.
LA GUERRA SANTA IN SIRIA
Il 16 ottobre del 2015 in una dichiarazione ufficiale della Chiesa ortodossa russa, l’intervento di Mosca in Siria a sostegno del regime di Damasco, è stato definito una “lotta sacra”. Kirill ha più volte sottolineato la necessità dell’azione russa nella “lotta al terrorismo, per un mondo giusto, per la dignità di quelle persone” pensando soprattutto ai cristiani che vivono in quelle aree; gli stessi oggetto dell’incontro con Papa Francesco. Il Mashriq, “il luogo dove sorge il sole”, la regione araba che comprende Libano, Palestina, Giordania, Siria e Iraq, è abitato da una buona componente cristiana, che ha radici storiche e che nonostante questo è tornata a vivere un periodo molto complicato, visto le (nuove) persecuzioni subite dall’instaurarsi del Califfato siro-iracheno e di altri gruppi islamisti.
Putin aveva attirato su di sé anche il consenso più o meno indiretto di parti Vaticano, che vedevano nell’azione di Mosca un chiaro tentativo di difendere i cristiani nell’area, anche se Segreteria di stato vaticana ha sempre cercato di evitare dichiarazioni che potessero sbilanciarsi troppo verso una della parti interessate (ossia Stati Uniti e Russia, e alleati/procuratori locali). Per esempio, l’arcivescovo cattolico greco-melchita di Aleppo, Jean-Clement Jeanbart, aveva lodato l’azione militare di Vladimir Putin a sostegno di Assad, considerandola come un aiuto contro gli estremisti islamici (Isis e non).
Alcuni osservatori avevano fatto notare come lo strumento quello della guerra in difesa delle minoranze fosse un argomento già usato più volte dal presidente siriano Bashar el Assad, che ha utilizzato il laicismo di fondo del suo partito politico, il Baath, per puntellare le sue parole. Altri hanno evidenziato anche il doppio standard della Chiesa russa, che nel 2003 aveva condannato l’invasione dell’Iraq da parte degli americani, richiamando messaggi di pace, mentre in questo momento sostiene la sacralità dell’intervento militare di Mosca.
SYMPHONIA
Che la Chiesa e lo Stato si completino a vicenda senza interferire l’una con l’altro, la Symphonia, è uno dei concetti teologali dell’Ortodossia, messo in discussione a Mosca da quando è stato eletto Kirill e Putin ha individuato la Chiesa come una buona sponda per appoggiare il proprio progetto politico. Comunque conclude il suo saggio Sokora: “In una società in cui oltre il 70 per cento dei cittadini si identifica come ortodossi, anche se la percentuale di fedeli attivi è di una sola cifra, la risonanza culturale della Chiesa è così evidente come la sua rilevanza dottrinale è discutibile, [aspetto] che la rende pronta per essere sfruttata politica. Ma nella Russia contemporanea, non è la Chiesa ortodossa, ma l’ateismo sciovinista ortodosso ad essere il più grande alleato del regime”.