Lasciamo stare i sondaggi. Ha detto Guido Ceronetti che i sondaggi hanno ormai sostituito gli oroscopi, pur avendo un identico valore probabilistico. La verità è che lo stesso Matteo Renzi è il primo a sapere che oggi non ha più il vento in poppa nella società italiana. L’establishment economico e mediatico gli sta voltando (o gli ha già voltato) le spalle, titubante nel salire su un treno che potrebbe rapidamente deragliare. La crescita non decolla. Esistono ancora bacini di forte malessere sociale che non si riesce a prosciugare. I ceti ministeriali e burocratici sono sul piede di guerra. L’Europa continua a guardarlo sospettosa. Insomma, Renzi teme – non a torto – uno scioglimento anticipato delle Camere. In tal caso, nemmeno l’Italicum sarebbe in grado di garantirgli una vittoria certa. Se credesse di godere ancora di un vasto consenso presso l’opinione pubblica, forse avrebbe sfidato apertamente le minoranze interne del suo partito, Ncd e le stesse opposizioni (a partire dal M5S), minacciando la crisi di governo sulle unioni civili (stepchild adoption inclusa). Andare alle urne dopo una grande battaglia sui diritti delle persone, gli avrebbe concesso un formidabile atout sul tavolo della roulette elettorale. Invece è stato costretto a fare buon viso a cattivo gioco di fronte ai veti incrociati di Alfano e dell’area cattolica del Pd. I numeri sono numeri e sarà pure realpolitik, la cosa non mi sfugge, ma il prezzo pagato dal presidente del Consiglio per tenere insieme la sua scombiccherata maggioranza è molto alto.
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“[…] il dato saliente della democrazia del leader non è lo strapotere del capo. Ma la sua fragilità. Il fatto di essere esposto alla spirale delle aspettative crescenti, dei sondaggi incombenti e delle decisioni impellenti. Con un circuito di legittimazione costantemente sull’orlo di una crisi di nervi. Mentre le leve istituzionali restano limitate e inadeguate. Per queste e tante altre buone ragioni – che tutti conoscono ma restano seppellite nella cattiva coscienza della sinistra e anche un po’ della destra – la riforma che servirebbe al paese per uscire definitivamente dal guado consisterebbe nella blindatura del potere del primo ministro” ( Mauro Calise, La democrazia del leader, Laterza, 2016). Magnifica analisi, che condivido pienamente. C’è un però, su cui del resto lo stesso politologo dell’Università napoletana Federico II mette l’accento. Un esplicito rafforzamento dei poteri del premier costituisce infatti un terreno minato. Se, per aver tagliato le unghie al Senato più pletorico dell’Occidente, Renzi è stato accusato di innescare una deriva autoritaria, una svolta presidenzialista porterebbe il Paese sull’orlo di una guerra civile. Almeno di quella a parole, che “le minoranze Pd, grilline e salviniane han dato mostra di avere in grande spolvero”. Un bel guazzabuglio.