La proposta avanzata in un articolo congiunto – pubblicato inizialmente dalla Süddeutsche Zeitung e ripreso da numerose testate – del governatore della Banque de France François Villerroy de Galhau e dal presidente della Bundesbank Jens Weidmann, non è un’idea estemporanea. Non nasconde un mero gioco di potere dei due principali Stati dell’Unione europea, anche in quanto è stata discussa a lungo nelle competenti sedi istituzionali.
In primo luogo, non è un’idea nuova: se ne è parlato già negli Anni Settanta, dopo la fine del regime di Bretton Woods, quando, considerato prematuro il ‘Piano Werner’ per una graduale transizione verso un’unione monetaria, il malconcio Serpente monetario europeo tentava fluttuazioni congiunte sui mercati monetari internazionali. È stata ripresa, alla fine degli Anni Ottanta, nella prima fase dei negoziati per l’unione monetaria, nell’assunto – non banale – che una politica monetaria comune resta monca se non è correlata con una politica di bilancio comune. Allora, su suggerimento del Benelux, si optò per un surrogato: i cinque parametri di Maastricht (ora sostanzialmente ridotti a due, i rapporti tra indebitamento e debito, da un lato, e Pil dall’altro). Quando fu evidente che il surrogato non funzionava, si tentò un surrogato ancora più complesso, il Fiscal compact (che, lo mostrano le insistenti richieste non solo da parte dell’Italia di flessibilità, non funziona molto meglio nonostante un complicato apparato di accordi intergovernativi e leggi costituzionali ‘rafforzate’).
Non è un caso che la proposta sia stata formulata adesso: come ha ricordato Francesco Giavazzi sul Corriere della Sera, il Consiglio Europeo del 18 febbraio è cruciale per definire se “quel-che-resta-dell’-Ue” può ricompattarsi e trovare una direzione comune, o se si va verso una più o meno ordinata dissoluzione della unione monetaria (e forse della stessa Ue), come è avvenuto ad una quindicina di ‘unioni’ negli ultimi sessant’anni. Inoltre, le procedure di bilancio definite nel Fiscal compact comportano che già nell’esercizio 2017, quelle di bilancio e di contabilità dei singoli Stati saranno uniformi: di conseguenza, richiederanno una guida politica. L’Ecofin è troppo numeroso per adempiere a questo compito.
Non è neanche un caso che vengano alla scoperto due autorevoli componenti del Consiglio della Banca centrale europea (Bce). I lineamenti della proposta sono stati discussi più volte in seno al Consiglio Bce, anche a ragione dei magrissimi risultati del Quantitative easing. Ci sono buoni motivi di ritenere che la proposta abbia il supporto dell’Esecutivo Bce e del suo presidente Mario Draghi.
Non credo sia questa la sede appropriata per discutere dei contenuti. L’articolo dei due banchieri centrali contiene solo lineamenti molto generali, mentre c’è una vasta documentazione (ovviamente riservata) su cui lavorano sia la Bce, sia la Commissione europea, sia le cancellerie economiche degli Stati dell’Ue, in particolare di quelli che compongono l’unione monetaria.
Parte di questo lavoro filtra in working paper di istituti di ricerca e studiosi che collaborano con le istituzioni ed i governi europei. Non si sa, però, sino a che punto riflettano posizioni già concordate. Un esame di merito, quindi, potrà essere effettuato soltanto quando ci sarà una proposta articolata.
Tuttavia, rinviando le analisi, appare chiaro che l’Italia, a livello politico, si è praticamente tirata fuori dalla preparazione della proposta. Fortunatamente, a livello tecnico, ha continuato a partecipare ai vari gruppi di lavoro. Quando Palazzo Chigi si è reso conto che si rischiava di finire in serie B o C, è stato fatto un tentativo di essere ammessi in un ‘direttorio europeo a tre’: incontro con la cancelliera tedesca Angela Merkel, telefonate con il presidente francese François Hollande, riunione a Roma dei leader dei partiti socialisti europei. E via discorrendo.
Tentativi tardivi e poco coerenti sia con i numerosi dossier ‘italiani’ che rischiano procedure d’infrazione europee, sia con rapporti molto tesi tra Palazzo Chigi e le istituzioni europee.
Difficile dire se la proposta andrà avanti. Se lo farà, vi andrà senza un apporto fattivo dell’Italia, considerata come il Frosinone dalla squadre di calcio di seria A che mirano a conquistare lo scudetto.
Forse c’è ancora tempo e modo di cambiare strategia e di seguire quella di Talleyrand, non quella di Annibale. Anche perché il cartaginese (che pur venne sconfitto sul Trasimeno) disponeva di armate ed elefanti che l’Italia non ha.