Dalla tazza “Ready for Hillary” di Hillary Clinton al cappellino “Make America Great Again” di Donald Trump. Il merchandising è una delle tante fonti di introiti per finanziare le campagne elettorali negli Usa. Ma sembra funzionare più dal punto di vista pubblicitario, che non per raccogliere fondi. Ogni berretto di Trump costa 30 dollari sul suo sito internet, ma il candidato alla nomination repubblicana ha speso più di 450mila dollari per farli realizzare, secondo l’Independent. Soldi che provengono principalmente dalle sue tasche e – forse – anche da quelle del consuocero, il magnate del settore immobiliare Charles Kushner.
Gran parte delle risorse economiche della campagna elettorale americana provengono, di solito, dalle donazioni, che vengono rigorosamente controllate dalla Federal Election Commission (Fec). Ogni contributo è registrato e reso pubblico.
Hillary Clinton, per esempio, ha a disposizione più di 117 milioni di dollari, di cui il 77% proviene da donazioni fatte da fondi di investimento e banche. All’ex segretario di Stato non mancano i sostenitori: da Goldman Sachs a Steven Spielberg, passando per George Soros e Larry Gagosian. Un’altra parte, invece, arriva da somme incamerate dalla Fondazione Clinton.
Bernie Sanders si vanta del contrario; ha raccolto 75 milioni di dollari grazie a piccoli donatori. Soltanto 75mila dollari provengono per lui dal settore finanziario, anche se la Clinton ha già detto che esisterebbero 200mila dollari incassati da Wall Street a cui Sanders non farebbe riferimento. Oltre a sindacati e organizzazioni di lavoratori, secondo il Center for Responsive Politics tra i finanziatori di Sanders ci sono Alphabet, la holding di Mountain View, Microsoft, Apple e Amazon.
Dietro ai 29 milioni di dollari raccolti finora dal repubblicano Marco Rubio ci sono invece Norman Braman, ex proprietario dei Philadelphia Eagles; Larry Ellison, presidente di Oracle e Benjamin Leon Jr., proprietario di Besilu Stables a Miami.
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