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Vi racconto quanto ho riso vedendo Beppe Grillo a teatro

Ieri ho visto Beppe Grillo al Brancaccio Roma. La storia è questa.

Lui è diviso tra il Grillo politico e il Grillo comico, va in analisi e lo psicanalista è il pubblico. Vuole ritrovare il suo autentico io. La prima parte è autobiografica: la famiglia, il tornio, Genova e le sue bagasce, il porto e i furtaroli, Donato Bilancia come vicino di casa (“badante serial killer”).

Poi la Rai, la battuta su Craxi e i socialisti, le telefonate di Biagio Agnes, Pippo Baudo è in platea, è un tuffo nel passato. Poi l’incontro con Casaleggio (“uno dei più grandi”), il primo blog nel 2005, la ricerca del feedback e da lì Grillo prende il volo, con l’aiuto dello scienziato-autore Morosini, nei cieli della tecnologia 2.0.

E si scopre il water che manda i messaggi al frigo (“basta mortadella”), il contenitore del sale che spegne il segnale del cellulare (così i figli a tavola smettono di stare su whatsapp), l’aggeggio anale con il quadrante dell’orologio esterno. Diavolerie e risate.

Siparietto finale con i “miei parlamentari miracolati” in platea che ingoiano il grillo liofilizzato al caramello, cibo 2.0, “prendetelo dentro di voi così farete a meno di me”. Per chiudere invoca il vaffanculo della platea diretto a lui.

Le bordate politiche sono poche: su Roma che sarà nostra, sul reddito di cittadinanza per tutti e altre cose già sentite. Qualcuno si alza in piedi e grida ti amo. E’ una adorazione religiosa, quella verso il Grillo nazionale. Leader riluttante, dice lui, eppure il nuovo logo senza il suo nome lo ha fatto registrare al figlio e al suo fiscalista.

Io ho riso, di gusto. Per divertirsi basta non credergli.


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