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Perché Bloomberg molla (e perché Hillary Clinton gongola)

Anche Michael Bloomberg contro Donald Trump: tenendosi fuori, piuttosto che buttandosi dentro. L’ex sindaco di New York rinuncia, cioè, a scendere in lizza come indipendente per la presidenza degli Stati Uniti per evitare – scrive sul proprio sito – di favorire l’eventuale vittoria del magnate dell’immobiliare populista o, in alternativa, di Ted Cruz – Tea Party ed evangelici -, le cui posizioni, specie sull’immigrazione, giudica “divisive” ed “estremiste”.

La decisione di Bloomberg non sorprende, dopo il silenzio degli ultimi giorni e visto l’andamento delle primarie. Dopo l’annuncio Hillary Clinton, la battistrada per la nomination democratica e la maggiore beneficiaria della desistenza dell’ex sindaco, ha espresso “grande rispetto”.

Bloomberg, 74 anni, valutava da mesi in modo approfondito un’eventuale candidatura, sdegnato e preoccupato dal profilo dei candidati alla nomination repubblicana populisti e ultra-conservatori e spinto – parole sue – dal “dovere patriottico” di opporsi alla loro elezione.

Ma i sondaggi condotti e l’andamento delle primarie lo hanno convinto che non avrebbe potuto vincere e che, anzi, il suo nome sulle schede avrebbe avvantaggiato Trump o Cruz, sottraendo consensi alla candidata democratica: “È un rischio che in coscienza non mi sento di prendere”.

Diverso sarebbe stato il discorso se fra i democratici si fosse affermato il senatore Bernie Sanders, le cui posizioni ‘socialiste’ avrebbe creato un vuoto al centro che l’ex sindaco, un democratico poi divenuto repubblicano e infine indipendente, avrebbe potuto occupare, ricevendo voti dai moderati dei due partiti e dai centristi.

Dunque, non ci sarà, questa volta, un ‘terzo uomo’ nelle presidenziali statunitensi e, soprattutto, non ci sarà un ‘terzo uomo’ potenziale vincitore.

Per ulteriori approfondimenti sulle elezioni presidenziali americane, clicca qui per accedere al blog di Giampiero Gramaglia, Gp News Usa 2016

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