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Come si deve rispondere al terrore di Isis

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Lo scopo del terrorismo non è quello di colpire obiettivi militari avversari, e nemmeno quello di uccidere civili innocenti. Il suo obiettivo è quello di promuovere un obiettivo politico, il rovesciamento di un governo considerato avversario, attraverso l’enorme pubblicità che i mass media gli offrono gratuitamente rilanciando l’orrore degli attentati di cui è protagonista.

Le bombe di martedì a Bruxelles, quelle in Mali, in Burkina Faso, a Parigi e in altri luoghi simbolo sono state pianificate proprio con questo obiettivo. Assassinare civili con l’unica colpa di essere passati di lì in quel momento non ha nessuno scopo bellico per se stesso. La forza esplosiva principale non si trova racchiusa nella chimica degli ordigni ma nella nostra reazione a queste azioni.

Non possiamo proteggerci con efficacia: gli attentati sono sostanzialmente casuali, gestiti in modo praticamente autonomo da gruppi di fanatici debolmente – o per nulla – connessi coi vertici Isis, costituiti da poche unità e che possono colpire una infinità di obiettivi simbolici sparsi in tutto il mondo. Nessun investimento in forze di polizia, eserciti, armi, droni e missili può portarci a “rischio zero”, perché anche se diverse di queste cellule vengono identificate e neutralizzate in tempo, non c’è alcuna garanzia che non ne scappino altre e che queste possano arrivare a colpire.

Per agire concretamente, è necessario cercare di disinnescare l’odio che porta ad atti di terrore, e non perdere la testa amplificando l’effetto dell’atto terroristico in sé.

Il primo obiettivo, in questo caso, richiede una politica estera verso il mondo Mussulmano più efficace di quanto è stato fatto negli ultimi anni, separando nettamente e in modo definitivo le convinzioni religiose e le culture civili modellate sul messaggio dell’Islam, dal fanatismo aggressivo di chi usa la religione per scatenare le guerre piuttosto che scegliere l’amico e il nemico in base all’opportunità del momento come è successo in Afghanistan, in Iraq, in Siria, in Libia.

Questa politica estera va condotta da una combinazione di diplomazia, intelligence ed azioni di forza al fine di premiare le comunità virtuose e disponibili alla convivenza pacifica, nel pieno rispetto delle convinzioni religiose di tutti, ma anche allo scopo di isolare e annientare i criminali che cercano di sfruttare la religione per fomentare l’odio.

Il secondo obiettivo è anche più difficile: richiede una assunzione di responsabilità da parte dell’intero mondo della comunicazione e richiede l’intelligenza collettiva di questo mondo perché le azioni terroristiche non vengano amplificate provocando l’odio generalizzato per i musulmani. Obiettivo primario del cosiddetto Stato Islamico che non vede l’ora di essere riconosciuto come l’unico reale difensore dell’Islam contro l’Occidente.

L’obiettivo dell’ISIS è stato dichiarato un’infinità di volte dai loro capi e dalla loro pubblicistica: vogliono provocare ritorsioni contro l’intera comunità musulmana in modo da dimostrare le falsità su cui si fondano le democrazie ed erigersi, quindi, ad unico baluardo contro la persecuzione dell’intero mondo musulmano esattamente come le Brigate Rosse volevano provocare ritorsioni da parte dello Stato contro i principi e le libertà democratiche su cui questo stesso era fondato.

Ma, oggi come allora, l’unica risposta che i militari offrono – e la principale richiesta delle comunità esasperate coll’irresponsabile contributo dei mass media – è quella di pretendere nuove armi, nuovi poteri, chiudere frontiere, isolarsi e vendicarsi; disgregando, così, il patto sociale che tiene unita la comunità stessa.

Non è questa la risposta giusta. La risposta giusta è quella che ha funzionato 70 anni fa: incanalare l’emozione verso azioni concrete che individuino e isolino i terroristi stessi dai nuclei di odio che li alimentano più o meno consapevolmente. Azioni che uniscano e promuovano la solidarietà e la vigilanza di tutta la comunità.

ECCO GLI APPROFONDIMENTI DI FORMICHE.NET SU ISIS E GLI ATTENTATI A BRUXELLES:

Isis, dove sono i Guido Rossa nell’Islam? I Graffi di Francesco Damato

Vi spiego gli algoritmi dei terroristi (di Isis e non solo). L’analisi di Giuseppe Pennisi

Perché è utile seguire Israele per contrastare il terrorismo Isis. Le Punture di Spillo di Giuliano Cazzola

Vi racconto Bruxelles dopo la strage Isis. Il commento di Gianfranco Polillo

Isis, il totalitarismo del terzo millennio. Il Bloc Notes di Michele Magno

Isis e Bruxelles, cosa hanno detto Clinton, Cruz, Sanders e Trump. L’articolo di Zeffira Zanfagna

Tutte le sciocchezze su Isis, Bruxelles, Servizi e Corano. Il corsivo di Stefano Cingolani

Bruxelles, la guerra di Isis e l’eutanasia dell’Europa. L’analisi di Benedetto Ippolito

Chi finge di non vedere la guerra di Isis. Il commento di Gennaro Malgieri

Vi racconto la fiacchezza morale che ci rende inermi davanti a Isis. Il commento di Corrado Ocone

Attentati a Bruxelles, come combattere con efficacia il terrorismo. L’analisi di Ennio Di Nolfo

Salah, Molenbeek e il jihad made in Europe. Il post del sociologo Marco Orioles

Tutte le bufale circolate sui media dopo la strage a Bruxelles. La ricostruzione di Alma Pantaleo

Così Clinton e Trump si rintuzzano anche sugli attentati a Bruxelles. L’articolo di Giampiero Gramaglia

Attacco terroristico a Bruxelles, tutti i dettagli. La ricostruzione di Emanuele Rossi

Bruxelles, da “non luogo” a capitale del terrore. Il corsivo di Guido Mattioni

Vi racconto tutto di Molenbeek. La testimonianza di Enrico Martial

Perché il Belgio è considerato “la culla del jihadismo” in Europa. L’approfondimento di Rossana Miranda



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