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Perché l’Italia guarda alla Francia per realizzare il deposito dei rifiuti nucleari

Messa così viene quasi voglia di non crederci: nella regione famosa nel mondo per la più amata eccellenza francese, lo Champagne-Ardenne, sorge dal 1992 il deposito di smaltimento dei rifiuti radioattivi prodotti d’oltralpe. L’unico attualmente attivo in Francia per questo tipo di necessità – il secondo dopo quello già chiuso di La Manche, in Normandia – realizzato all’interno di un’area boscosa scarsamente popolata ed esteso su una superficie di 95 ettari. Parigi dista 250 kilometri, Troyes – che è la più importante città nelle vicinanze – circa una sessantina. E’ qui, precisamente a Soulaines-Dhuys, minuscola località del dipartimento dell’Aube, che vengono trasportati – e poi smaltiti – i rifiuti radioattivi generati dai 58 reattori nucleari oggi in funzione nel Paese. Un impianto che per l’Italia – oggi alle prese con la sfida del deposito nazionale (qui tutti i dettagli in un articolo di Formiche.net) – è un modello da seguire. Qualcosa da imitare non solo dal punto di vista del funzionamento ma soprattutto sotto il profilo della capacità del sistema francese di creare consenso tra i cittadini rispetto a un’opera così complessa e, inevitabilmente, foriera di dubbi e paure. In un certo senso il dibattito pubblico (o débat public, alla francese) nella sua versione più avanzata, quella che ha condotto quasi un’intera comunità a cambiare radicalmente opinione nel giro di pochi anni e a diventare convinta sostenitrice dell’infrastruttura.

A gestire il deposito è Andra, società interamente pubblica come la nostra Sogin cui è stato affidato il compito di localizzare, costruire e gestire il deposito unico per l’Italia. E’ il 1984 quando l’azienda francese avvia il procedimento volto alla realizzazione del nuovo impianto. Una decisione accolta da manifestazioni, picchetti e blocchi stradali organizzati dai cittadini della zona. “Per noi il nucleare era Hiroshima ma eravamo solo ignoranti” racconta oggi Gilles Gerard, all’epoca vicesindaco di Epothemont, comune distante neppure quattro chilometri dal deposito. “Scendemmo in piazza a protestare e organizzammo un referendum da cui emerse che l’84% della popolazione era contrario. Il Governo fu obbligato a sedersi al tavolo. E l’apertura del dialogo cambiò le carte in tavola” commenta Philippe Dallemagne, in quegli anni a capo dell’opposizione al progetto. Da nemico del deposito a suo fiero sostenitore, perché – dice ancora Dallemagne – “dopo la sconfitta alle urne, i rappresentanti del Governo e della società si decisero a cambiare approccio”.

Non più un atteggiamento unidirezionale ma un vero e proprio dialogo costruttivo con le popolazioni locali in modo da spiegare, chiarire e mediare. Con le rassicurazioni e le spiegazioni del caso, il fronte del no si dissolve rapidamente. Tanto che “se organizzassimo oggi quella stessa consultazione” aggiunge Dallemagne “il rapporto tra favorevoli e contrari risulterebbe completamente capovolto”. Lui stesso collabora attivamente con il deposito e con l’Andra nella sua doppia veste di sindaco di Soulaines-Dhuys e di presidente della Commissione d’informazione locale di cui fanno parte politici, medici, sindacalisti e ambientalisti. E’ il nuovo metodo incentrato sulla trasparenza e sulla condivisione ad aver fatto la differenza in Francia ed è a quello stesso metodo che oggi Sogin si ispira per arrivare anche in Italia alla costruzione del deposito. “La chiave è creare e conservare la fiducia” dice Patrice Torres, che per Andra dirige il deposito nazionale francese dal 2008. “Bisogna spiegare come e perché si fa una determinata cosa”. E, ovviamente, bisogna dare specifiche garanzie sull’assenza di rischi per le persone e sui possibili benefici per il territorio.

Salute, sicurezza e soldi, semplificando con tre parole. La prima è garantita innanzitutto attraverso i 12.000 controlli che Andra esegue annualmente sulla qualità dell’aria, del terreno e dell’acqua. Verifiche alle quali si aggiungono quelle indipendenti realizzate dalle comunità locali e affidate a laboratori certificati da due importanti associazioni anti-nucleare. La popolazione che abita nella zona – 2.700 persone nel raggio di 5 kilometri dall’impianto e 30.000 nel raggio di 40 kilometri – non ha mai fatto riscontrare casi sospetti di tumori e malformazioni. “Le emissioni in quest’area sono 100.000 volte inferiori ai limiti consentiti” sottolineano dalla società. Per evitare brutte sorprese viene analizzato anche il miele delle api che volano nei pressi dell’impianto, divenuto negli anni il vero motore economico della zona. Andra ha versato 10 milioni di euro una tantum al momento di realizzare la struttura e paga alle comunità locali circa 4 milioni di euro di tasse aggiuntive l’anno che restano sul territorio. Una cifra che arriva a sfiorare gli 8 milioni se si considera tutto il dipartimento dell’Aube. I posti di lavoro diretti prodotti dal deposito sono 250 mentre altri 250 si registrano nell’indotto. Non c’è dunque molto da meravigliarsi che adesso il territorio si candidi a ospitare il nuovo deposito che dovrà essere realizzato in Francia, quando quello di Soulaines-Dhuys – attualmente riempito per circa un terzo della sua capacità complessiva di un milione di metri cubi – cesserà di funzionare.

Immerso nei boschi, l’impianto è formato da grandi celle a forma rettangolare costruite in cemento armato, dentro le quali vengono stoccati i fusti d’acciaio contenenti i rifiuti, a loro volta riempiti di cemento. Quando il deposito sarà esaurito, le celle – debitamente sigillate – saranno ricoperte da vari strati di terreno impermeabile. Alla fine di tutto, quello che si potrà vedere a occhio nudo sarà soltanto una sorta di collinetta, realizzata però artificialmente per custodire i rifiuti e progettata per durare i 350 anni necessari al loro decadimento. Nel complesso sono tre i livelli di protezione previsti nella procedura di stoccaggio per evitare qualsiasi possibilità di contatto con l’ambiente circostante. In Italia, invece, ce ne sarà uno in più, visto che i fusti d’acciaio – prima di essere depositati nelle celle – saranno inseriti in un ulteriore barriera chiamata modulo.

Si tratta di una procedura complessa che consente alle celle di resistere ai terremoti e persino allo schianto di un jet” spiegano in Andra. A Soulaines-Dhuys nessuno ne dubita. L’obiettivo di Sogin è che anche nel sito che alla fine verrà scelto in Italia, si arrivi a questo grado di fiducia da parte della popolazione.

Ecco la mappa dei depositi europei

Mappa depositi europei



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