Le primarie saranno “una maratona” e lo sono pure i dibattiti fra candidati, che ormai si succedono con cadenze serrate: questa volta, i candidati democratici Hillary Clinton e Bernie Sanders s’affrontano su Univision e Cnn da Miami, in vista del voto di martedì in Florida e Ohio e subito dopo i risultati del mini Super Martedì, che hanno intaccato la posizione dell’ex first lady, specie per l’inattesa sconfitta in Michigan.
La Clinton finisce sulla graticola. Sanders, esagerando un po’ tanto, definisce il risultato nel Michigan “uno dei maggiori scombussolamenti della storia moderna” degli Stati Uniti, mentre l’ex segretario di Stato riduce tutto a un incidente di percorso: “Ho vinto una delle gare e ho perso l’altra di poco”, commenta, ricordando il successo nel Mississippi. Sono soddisfatta perché ho avuto 100mila voti in più rispetto al mio rivale e più delegati. Continuerò a lavorare duramente”.
Incalzata poi sullo scandalo delle email inviate da un account privato quand’era segretario di Stato, il cosiddetto ‘emailgate’, la Clinton ha categoricamente negato di poter essere rinviata a giudizio: “Non succederà. Non intendo neppure rispondere a questa domanda”, ha replicato al giornalista che chiedeva se, nel caso di iscrizione nel registro degli indagati, lascerebbe la corsa per la Casa Bianca. “Non ho inviato o ricevuto alcuna email allora classificata – ha per l’ennesima volta ripetuto -, quello di cui si discute è una classificazione retroattiva. Non sono preoccupata”.
Sull’immigrazione, uno dei temi chiave della serata, rivolta in particolare al pubblico ‘latino’, verso le primarie in Florida, e anche in Arizona e California, l’ex first lady ha preso le distanza da Barack Obama. “Sugli 11-12 milioni di immigrati clandestini che sono già qui, non sostengo le politiche dell’attuale amministrazione”, ha detto la Clinton: io non deporterei bambini né voglio deportare familiari”.
La Clinton ha rilevato che Sanders ha votato contro la riforma dell’immigrazione, ma il senatore ha poi precisato di essersi opposto solo ad alcune clausole del provvedimento. I due sono stati introdotti sul palco in spagnolo e a cantare l’inno nazionale è stato Sebastian De La Cruz, giovane artista ‘mariachi’ vittima di commenti razzisti dopo una sua esibizione alla finale Nba.
Sanders e la Clinton hanno entrambi criticato le deportazioni di massa programmate dal candidato e battistrada repubblicano Donald Trump. Si sono però rifiutati di definire il magnate newyorchese “razzista”, bollando però le sue proposte come volgari e insensate e capaci di fomentare il razzismo. “Gli americani non eleggeranno mai un presidente che insulta i messicani, i musulmani, le donne e gli afroamericani”, ha affermato Sanders. “Non si rende l’America grande cancellando tutto ciò che l’ha resa grande”, gli ha fatto eco la Clinton.
Senza giri di parole, i moderatori hanno chiesto alla Clinton perché gli americani non si fidano a pieno di lei e se ha mentito alle vittime della strage di Bengasi, nel settembre 2012. Lei s’è detta dispiaciuta per la prima osservazione, mentre su Bengasi ha spiegato che le informazioni venivano costantemente aggiornate.
Sanders l’ha incalzata perché renda pubblici i suoi interventi super pagati a Wall Street e l’ha accusata di copiare le sue proposte sui debiti degli studenti.
Al senatore del Vermont è stato mostrato un video del 1985 in cui difende Fidel Castro e gli è stato chiesto in che cosa il suo socialismo si differenzia dal comunismo cubano. “Penso che si debba porre fine all’embargo e che si debba andare avanti nella normalizzazione delle relazioni con Cuba”, è stata la risposta, nell’imminenza della storica visita del presidente Obama nell’isola. Il dibattito s’è chiuso con un forte applauso per Sanders, che conferma la sua capacità di scaldare il pubblico più dell’ex fist lady, che però rifiuta l’etichetta di ‘politica naturale’: “Non lo sono, non sono come Bill e Barack”.
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