Si intitola “Fiber to the People: the Development of the Ultra‐broadband Network in Italy”, lo studio di 24 pagine firmato dai professori Carlo Cambini (Politecnico di Milano), Michele Polo (Bocconi di Milano) e Antonio Sassano (Sapienza di Roma) per lo Iefe (Istituto di economia e politica dell’energia e dell’ambiente dell’Università Bocconi), ed è la fotografia ragionata del Piano banda ultra larga del governo italiano, con la risposta degli operatori di telecomunicazioni e le possibili strategie per raggiungere gli obiettivi dell’Agenda europea.
In attesa di sapere se e come cambierà la strategia della società per la banda ultra larga dopo le dimissioni dell’amministratore delegato, Marco Patuano, analizziamo quanto emerso con uno degli autori, Antonio Sassano, docente all’Università La Sapienza di Roma, e alla guida dell’Organo di Vigilanza per la parità di accesso alla rete di Telecom Italia, che sulla vicenda che sta coinvolgendo il gruppo presieduto da Giuseppe Recchi preferisce non commentare.
Professore, come è stato valutato il piano del governo nel vostro studio?
L’attuale piano ha corretto l’impostazione eccessivamente interventista che si era delineata in una prima fase sollevando parecchi dubbi a livello europeo e ristabilendo un ruolo complementare delle istituzioni pubbliche e delle imprese private.
Ci spieghi cosa è cambiato.
La nuova versione mostra un diverso approccio alla politica industriale da parte del governo: ha deciso dove andare, quindi questa volta solo nelle zone e fallimento di mercato, e di andarci con Infratel, stimolando anche realtà dove ha una partecipazione, quindi Enel, che svolgerà un compito di interesse generale andando nelle zone dove gli altri operatori non vanno e dove l’ingegner Starace ha dichiarato di avere un grande vantaggio grazie all’esistenza della sua infrastruttura.
Una mossa anti Telecom?
L’aver interpretato l’azione dell’esecutivo come una tenaglia di Cassa depositi e prestiti e di Enel nei confronti di Telecom è qualcosa che ci è stato erroneamente attribuito da certi organi di stampa. Il controllo pubblico su CdP ed Enel può dare invece al governo un ulteriore strumento per intervenire, aumentando la pressione sugli operatori privati e condizionandone il ritmo dei loro piani di investimento. Direi, il ruolo che hanno avuto le reti via cavo in altri Paesi.
Gli operatori si stanno muovendo in questa direzione?
Ci sono attualmente due progetti principali. Enel ha annunciato l’intenzione di sviluppare la propria rete, sfruttando le infrastrutture della rete di distribuzione dell’energia elettrica, con una particolare attenzione per le aree di digital divide. Telecom Italia ha in programma di portare la fibra ottica nelle 100 principali città italiane. E i due piani ci sembrano complementari.
Quindi si può dire che avete promosso il piano banda larga?
Le osservazioni dettagliate – cito testualmente le conclusioni del nostro lungo articolo – mostrano quanto sia complesso combinare strumenti pubblici non distorcenti e incentivi privati. Il risultato, tuttavia, sembra promettente.
A quali complessità vi riferite?
Il governo ha fatto una ripartizione del territorio nazionale in circa 94 mila aree e ha chiesto agli operatori che intervento avrebbero fatto in ciascuna di queste aree e che tipo di servizio vi avrebbero portato. Ovvero una connessione a 100 megabit al secondo, a 30 megabit al secondo o nessuna. Quindi è possibile che vi siano aree bianche, dove nessuno ha dichiarato di voler investire, anche all’interno di città importanti.
Tipo?
Roma ad esempio ma anche altre città hanno delle zone dove nessuno ha pianificato un investimento per raggiungere i 100 megabit. Nel nostro articolo c’è una tabella che mostra che in circa 2500 comuni e 3700 aree di centrale Telecom, gli operatori privati hanno dichiarato di voler raggiungere, senza incentivi pubblici, meno del 10% della popolazione residente.
Che effetto ha tutto ciò?
In questa prima fase questa informazione non ha nessun effetto sull’azione del governo, perché ha specificato di voler intervenire dove il numero delle zone bianche è preponderante. Ma in linea teorica un intervento di questo genere potrebbe essere necessario. L’importante è raggruppare queste aree in modo tale che un intervento pubblico non sia distorcente.
Le telco potranno scegliere la tecnologia che preferiscono. Le sembra una decisione corretta?
La neutralità tecnologica è un must, è il credo della Comunità Europea. Anche questo aspetto rientra nella nuova definizione del Piano e permette agli operatori di passare da un soluzione tecnica ad una più avanzata quando quest’ultima diventa vantaggiosa o indispensabile.
C’è un vantaggio nell’uso del rame in questa prima fase?
I costi di investimento aggiuntivi per portare la fibra all’armadio sono drasticamente inferiori a quelli che un operatore deve sostenere per portare la fibra fino a casa dell’utente. In inghilterra si è usato l’FTTcab per arrivare a percentuali molto alte di copertura con fibra nell’armadio, anche sotto i 100 megabit, ma molto oltre i 30. E lo stesso è accaduto in Germania. Questi paesi hanno scelto di utilizzare il rame per accelerare il processo di diffusione della fibra. Quindi ben venga l’FTTcab.
Quali operatori utilizzano questa tecnologia?
Dai dati emersi dal nostro studio si evince che in Italia la tecnologia FTTcab non fa parte solo della strategia di Telecom ma sembra essere stata anche la scelta strategica di due tra i principali concorrenti di Telecom Italia, Fastweb e Vodafone.
Può bastare?
In Italia i nostri armadi sono mediamente più vicini a casa degli utenti di quanto non lo siano negli altri paesi come Francia, Germania e nei Paesi nordici. Tuttavia, nello studio diciamo esplicitamente che se anche portassimo la fibra in tutti gli armadi, quindi facessimo l’FTTcab in tutti i 150 mila armadi Telecom, (attualmente Telecom l’ha già fatto in 40mila cabinet e credo arriverà ad 80mila) la percentuale di popolazione che verrebbe servita a 100 megabit al secondo non supererebbe, con la teconologia attuale, il 65,7%.
Cosa vuol dire?
Raggiungere l’obiettivo del 50% di abbonati a 100 megabit, significa dare la possibilità di abbonarsi ad almeno l’85% degli utenti. Per arrivare a questo livello di copertura dobbiamo necessariamente utilizzare la fibra. Ci sono dei punti che non posso raggiungere utilizzando l’approccio FTTcab perché la distanza dall’armadio a casa dell’utente è troppo lunga. Quindi, o utilizzo un approccio wireless o vado con la fibra come vuole fare Enel e arrivo fino a casa dell’utente.
Dove sono queste aree dove l’armadio è molto lontano dalle case?
Possono esserci anche nei centri abitati principali ma si trovano soprattutto nelle zone C e D dove è previsto un intervento del governo. Sono convinto che un intervento dell’Enel in fibra in quelle zone sia indispensabile per arrivare ai risultati dell’agenda digitale europea. La scelta tecnologica quindi va fatta nel momento in cui è l’unica scelta, oppure se qualcuno con costi ridotti riesce a portare la fibra in zone dove gli altri hanno costi più alti, perché lo fa in sinergia con le sue infrastrutture, come ha detto l’ingegner Starace in audizione al Senato.
Si metteranno le mani nei soldi delle bollette dell’energia?
Mi pare che ci sia stato il via libera dell’autorità dell’energia, quindi nessun problema.
Enel ha però dichiarato di volersi spingere anche nelle zone di mercato con Enel open fiber.
Non si può impedire ad Enel di portare le sue infrastrutture anche nelle zone di mercato (A e B). La vera domanda è dove vanno i soldi pubblici, in quale direzione va il finanziamento dello Stato italiano, e la risposta è che va nelle aree C e D.
Quali saranno le conseguenze dell’intesa di Enel con Vodafone e Wind?
Nel momento in cui ci si mette a lavorare su un’operazione del genere, quella di costruire una Rete di Nuova Generazione, con l’intenzione di estenderla su tutto il territorio nazionale, il fatto che ci siano già operatori privati interessati ad acquistare capacità su questa Rete rende solido il business plan di Enel ed è uno sprone per Telecom perché vuol dire che quegli operatori non acquisteranno più il servizio di Telecom in quelle zone.
Quale potrebbe essere la strategia di Telecom?
Telecom deve avere un suo piano, che sia compatibile con la sua capacità di investimento, e capire le zone dove vuole avere la sua infrastruttura e quelle dove preferisce appoggiarsi all’infrastruttura di un altro operatore.
Da cosa dipenderà questa scelta?
Sarà determinante la decisione dell’Autorità in merito alle regole e ai prezzi di accesso alla Nuova Rete da parte di tutti gli operatori.