L’ondata di terrore che è tornata a colpire l’Europa ha dato modo a molti, membri della classe politica e non, di dire la propria in materia di sicurezza e difesa.
Negli Stati Uniti e in Medio Oriente i fatti hanno dato luogo, poi, a un vero e proprio dibattito politico. Alcuni dei candidati in lizza per la presidenza degli Stati Uniti hanno colto l’occasione per sfoggiare il metodo che adotterebbero per debellare la minaccia proveniente dal terrorismo islamico. In Medio Oriente, invece, alcuni volti noti – del panorama politico e non – hanno sfruttato il caso per accusare l’Occidente, colpevole di strizzare l’occhio a quegli Stati arabi tacciati di spalleggiare il terrorismo, e quindi i propri nemici. La Siria ha accusato le monarchie del Golfo, prime tra tutte l’Arabia Saudita, che a sua volta ha puntato il dito contro la Repubblica degli Ayatollah e il governo di Damasco.
Forte della sua esperienza in materia di antiterrorismo, e sempre in prima linea nel condannare gli atti di violenza proveniente dalla galassia jihadista, che spesso ha attentato anche alla sicurezza del suo popolo – Hamas e Brigate Izz ad-Din al-Qassam in primo luogo – nel dibattito non poteva mancare il contributo dello Stato ebraico.
Ecco cosa hanno detto alcuni esponenti del governo israeliano sulle stragi di Bruxelles.
LE DICHIARAZIONI DI NETANYAHU E RIVLIN
Il Primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, martedì notte, in una conversazione telefonica con l’omologa belga, Charles Michel, ha detto che il terrorismo non fa distinzioni tra i paesi che colpisce, dunque ha offerto l’aiuto e il supporto di Israele nella lotta al terrore, riporta il quotidiano ebraico Haaretz.
Anche il Presidente dello Stato ebraico, Reuven Rivlin, si è unito all’iniziativa, inviando una lettera di condoglianze al Re Philippe di Belgio: “Il terrorismo è terrorismo, indipendentemente dal fatto che colpisca Bruxelles, Parigi, Istanbul o Gerusalemme […] Io voglio sottolineare che questa lotta che tutti noi combattiamo è contro quel terrorismo violento che continua a uccidere, e non contro l’Islam”, prosegue Haaretz.
LE DICHIARAZIONI DEL MINISTRO DELL’INTELLIGENCE
Primo ministro e Presidente non sono stati gli unici membri del governo israeliano a pronunciarsi sulle stragi. Anche Israel Katz – guida del dicastero dell’intelligence – durante un’intervista a Israel Radio ha detto la sua, ricorrendo, però, a toni ben più aspri. “Se in Belgio le persone continuano a mangiare cioccolata e a godersi la vita, per apparire democratici e liberali, senza prendere coscienza che alcuni musulmani hanno abbracciato la via del terrore, questi non saranno mai in grado di combatterli (i terroristi), scrive il quotidiano di casa Jerusalem Post.
LA LEZIONE DI BIBI
Che Israele sia particolarmente sensibile al tema terrorismo è chiaro – data la sua posizione di outsider in una regione che gli è nemica – e che il governo Netanyahu inciti spesso l’Occidente a unirsi allo Stato ebraico nell’arginare questa minaccia lo è altrettanto.
Anche questa volta il leader del Likud ha colto la palla al balzo, non solo per ribadire quanto Israele sia esposto alle continue minacce provenienti dalla regione circostante, ma anche per impartire una lezione, sottile, ma chiara.
In occasione di una conferenza stampa, organizzata poco dopo gli attentati, Netanyahu, parlando dal suo ufficio di Gerusalemme, ha commentato i fatti di Bruxelles stabilendo un parallelismo tra il terrore che sta seminando lo Stato islamico in diverse parti del mondo e quello che da sempre gruppi terroristici palestinesi cercando di fare in Israele. “Lo Stato Islamico spera di stabilire un califfato in Europa, mentre i Palestinesi di creare uno stato dentro Israele”, scrive la testata israeliana Jerusalem Post.
“Se c’è qualcuno al mondo che conosce quello che loro (la popolazione belga) stanno attraversando, quelli sono gli Israeliani, che eroicamente e coraggiosamente sono schierati contro il terrorismo da molti anni […] Noi stiamo agendo contro il terrorismo secondo metodi che non hanno precedenti e il risultato è avere successo nel prevenire molti di quegli attacchi a cui stiamo assistendo altrove”, prosegue il quotidiano citando Netanyahu.
Poi la lezione: “C’è un motivo se da molti paesi in tutto il mondo si viene in Israele per imparare come combattere il terrorismo. Posso dire, anzi, che a tal proposito i numeri stanno aumentando ogni giorno”, scrive il Jerusalem Post. Ancora, in un altro articolo del quotidiano si legge “fin dal suo primo tragico fallimento, Israele ha migliorato e aumentato le proprie misure di sicurezza, sulla terra e nei cieli. Da decenni, esperti di sicurezza di compagnie aeree internazionali, forze di polizia e servizi segreti vengono in Israele per apprendere le nostre competenze […] Sfortunatamente, l’Occidente ci ha messo un po’ per capire che la vita umana non è meno importante dei diritti umani”.
Infine l’appello, “non c’è dubbio, noi sconfiggeremo il terrorismo. Se il mondo imbraccia le armi con noi, allora li batteremo anche più velocemente”.