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Chi sono gli aspiranti kamikaze di Isis che hanno vissuto in Italia

Una chiavetta usb con più di 1700 file e 22mila nomi. A fornirla alle forze dell’ordine è stato un jihadista pentito, Abu Ahmed, ex militante combattente contro il regime di Bashar al-Assad, racconta Sky News UK. I documenti sono stati compilati dagli stessi aspiranti terroristi; una specie di formulario burocratico con le caselle “soldato”, “attentatore suicida”, eccetera. Da questi l’intelligence starebbe tracciando gli identikit dei militanti di Isis, quasi tutti foreign fighter, provenienti da circa 51 Paesi e pronti a combattere per l’organizzazione terroristica: nomi, date di nascita, indirizzi, livello di istruzione, cittadinanza, gruppo sanguigno. La maggior parte è composta da tunisini, marocchini ed egiziani, 122 aspiranti kamikazi, di cui due persone che hanno vissuto in Italia.

ESERCITO STRANIERO

In totale ci sarebbero circa 20mila militanti stranieri nelle file dell’Isis, di cui 3mila europei. “Operiamo un controllo regolare e continueremo a farlo. Questi controlli ci indicano di 48 jihadisti legati all’Italia, in qualche modo, perché hanno vissuto qui o perché vengono spesso”, ha detto il ministro dell’Interno Angelino Alfano nel settembre del 2014 durante una conferenza a Bruxelles. La cifra sembra oggi essere aumentata.

“L’ITALI” DI BRESCIA

Uno di questi giovani legati all’Italia, pronti a farsi esplodere, si fa chiamare Abu Rawaha al-Itali (L’Italiano). Nato nel 1992, è marocchino e residente a Brescia. Molto probabilmente si tratta di Anas El Abboubi, lo stesso ragazzo finito in un’inchiesta nel 2015 sul jihadismo a Brescia. Al-Itali era partito per la Siria passando dall’Albania, dopo essere stato arrestato e rilasciato nel 2013. Nella sua scheda si legge che il giovane è arrivato ad Aleppo a settembre del 2013 come studente, con una carta d’identità italiana.

IL PASSATO DA RAPPER

Al-Itali è arrivato in Italia quando aveva sette anni. Ha frequentato un istituto tecnico. È diventato un rapper piuttosto conosciuto. Il suo nome d’arte era Mc Khalifhy. Un giorno si è recato dalla Polizia, a Brescia, chiedendo un’autorizzazione per bruciare in piazza una bandiera di Israele e un’altra degli Stati Uniti. Così le forze dell’ordine hanno cominciato a seguirlo e sono stati scoperti sul suo computer materiali e contatti con organizzazioni estremistiche islamiche. Al-Itali fondò un gruppo chiamato Sharia4Italy. Con una pagina su Facebook chiamata Anas al Italy, il ragazzo arruolava nuovi combattenti.

IL TERRORISTA EUROPEO

Un altro aspirante suicida che ha vissuto su suolo italiano è Abu Ishaq al-Tunisi. Nato in Tunisia, 39 anni, ha detto di essere stato residente per quattro anni tra Francia, Germania, Italia, Olanda e Belgio. Ha detto di essere pronto a diventare martire in nome del Califfato.

ALTRI CASI

Un altro caso che ha trovato spazio sulla stampa internazionale è quello dell’italiano Giuliano Delnevo, figlio di un professore. Lavorava ad Ancona. Si è convertito all’Islam ed ha cambiato il suo nome in Ibrahim. Nel 2010 è partito per la Turchia ed è stato avvistato sulla frontiera con la Siria per diverse settimane. Non è mai riuscito ad entrare in contatto con l’Isis, fino a quando è rientrato in Italia, dove è stato avvicinato dal gruppo Sharia4Italy. Sembra che sia morto a luglio del 2013 in Siria. Cerantonio M., calabrese, anche lui convertito all’Islam, aveva un sito internet dove molti ragazzi italiani con problemi di natura economica o di integrazione sociale cercavano sfogo, entrando però in contatto con organizzazioni estremiste islamiche.

BRESCIA, CULLA DEL TERRORISMO?

Secondo l’Italian Terrorism Infiltration Index 2015 dell’Istituto Demoskopika, nel 2015 la Lombardia è stata la regione italiana più a rischio terrorismo, mentre Brescia il centro di inchieste e arresti di terroristi islamici. “Non possiamo più attendere”, ha detto l’assessore regionale alla Sicurezza, Protezione civile e Immigrazione, Simona Bordonali al quotidiano Qui Brescia. Il governo deve agire subito. Serve un giro di vite deciso sulla sicurezza per bloccare all’origine il rischio di atti di terrorismo islamico. Bisogna chiudere tutte le moschee abusive, fare un registro dei centri culturali islamici e obbligare gli imam a predicare in italiano”.

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