Il Libano sta scivolando su un piano inclinato, a causa dell’ennesima battaglia tra sunniti e sciiti, i due fronti guidati da Arabia Saudita ed Iran: la scorsa settimana la Lega Araba ha inserito Hezbollah nella lista delle organizzazioni terroristiche, dopo che un’analoga decisione era stata presa dal Consiglio di Cooperazione del Golfo, l’istituzione che riunisce la monarchie sunnite della regione. È stata l’Arabia di re Salman a prendere l’iniziativa, in modo da alzare la pressione sugli sciiti: per mettere in difficoltà il Libano, dove Hezbollah, il movimento sostenuto da Teheran, gioca un ruolo chiave, Riad ha sospeso un pacchetto di aiuti di 4 miliardi di dollari (tra cui l’acquisto di armamenti, di produzione francese, per l’esercito di Beirut, del valore di tre miliardi).
Sahar Atrache, senior analyst per l’International Crisis Group (ICG), esperta di affari libanesi, in una conversazione con Formiche.net sostiene che “il Libano è già polarizzato da tempo lungo una linea settaria: da una parte i sunniti del Future Movement e della coalizione 14 marzo, sostenuti dall’Arabia Saudita, dall’altra gli sciiti del fronte 8 marzo, guidati da Hezbollah e finanziati dall’Iran. La decisione del Consiglio di Cooperazione del Golfo e quella della Lega Araba non hanno fatto altro che certificare questa spaccatura. Dobbiamo aspettare per vedere se ci sarà un impatto effettivo. Questa mossa, del resto, non è senza precedenti. Nel 2013 il Consiglio di Cooperazione del Golfo annunciò una scelta analoga, ma la maggior parte dei Paesi non ne trasse le conseguenze. Anzi, all’epoca la decisione portò a rivelare le divisioni interne alle monarchie sunnite, più che ad indebolire Hezbollah”.
L’Arabia Saudita e gli altri Stati del Golfo hanno lanciato una sorta di boicottaggio dell’economia libanese, invitando i loro sudditi a non viaggiare in Libano e a ritirare gli interessi imprenditoriali a Beirut. Il rischio è che il Paese dei cedri, paralizzato politicamente, incapace di risolvere, dall’estate scorsa, la crisi dei rifiuti, dopo la chiusura di una grossa discarica, possa implodere. Atrache dice che “Hezbollah non ha molti interessi nei Paesi del Golfo, i quali, invece, hanno posizioni importanti in Libano. I legami economici tra Hezbollah e le monarchie sunnite coinvolgono una serie di attori, anche politici. Sebbene molti businessman del Golfo e molte compagnie statali abbiano ridotto i loro interessi nel Paese, è improbabile che ci sia un taglio completo delle relazioni imprenditoriali. In ogni caso, la situazione economica del Libano è molto fragile. Tutti i settori lo sono, perché lo Stato si sta sgretolando, le istituzioni si stanno erodendo, lo stallo sembra non avere fine e non è detto che l’ultimo piano approntato per risolvere la crisi dei rifiuti possa funzionare”.
La ritirata saudita dal Libano – che alcuni analisti attribuiscono anche a frizioni con l’uomo di Riad nel Paese, il leader del Future Movement, Saad Hariri, figlio di Rafik, il premier ucciso da un’autobomba nel 2005 – potrebbe avvantaggiare l’Iran, alla luce, oltretutto, della fine delle sanzioni e delle scongelamento di alcuni fondi esteri di Teheran, la cui entità è ancora imprecisata. Sahar crede che sia troppo presto “per prevedere un irrobustimento degli aiuti militari iraniani ad Hezbollah, con i denari scongelati dalla fine delle sanzioni. Certamente Teheran continuerà ad appoggiare Hezbollah, non solo per il ruolo che svolge in Libano, ma anche per il suo apporto in Siria, a difesa di Assad, e, più in generale, nella regione. Ma sostenere che l’accordo nucleare incoraggerà una politica ancora più aggressiva da parte dell’Iran, come fanno alcuni analisti, mi sembra prematuro”.
Il paradosso è che sunniti e sciiti in Libano sostengono entrambi il governo di Tammam Salam, anche se l’esecutivo è sostanzialmente paralizzato. Hezbollah e il Future Movement hanno stretto un patto sulla sicurezza ed organizzano regolari incontri per coordinarsi in questo campo, così da impedire l’avanzata dello Stato Islamico. Le mosse saudite, però, rischiano di mettere a repentaglio questa intesa. Il ministero dell’Interno Nohad Machnouk ha detto che bisognerebbe sospendere gli incontri tra le due parti. Secondo l’analista dell’ICG “è troppo presto per dire che lo Stato Islamico è il vincitore di questa situazione, ma certamente stiamo assistendo a una radicalizzazione di alcuni segmenti delle due comunità, sunniti e sciiti. Nella regione c’è un conflitto esistenziale che è diventato sostanzialmente a somma zero. In Libano sia il Future Movement che Hezbollah portano su di loro una grave responsabilità, perché hanno rinfocolato le tensioni settarie e hanno portato avanti una narrativa tendente a demonizzare la controparte”.
La paralisi della politica libanese è esemplificata dall’incapacità del Parlamento di eleggere il presidente della Repubblica. La carica è vacante da quasi due anni e neppure l’endorsement fatto da Samir Geagea, pro Hariri, al suo ex acerrimo nemico, il generale Michel Aoun, pro Hezbollah, ha sbloccato la situazione. Atrache è piuttosto sconsolata: “Francamente non so come si possa uscire da questo impasse. Dubito che il vuoto politico in Libano sia in agenda nei colloqui di pace sulla Siria. C’è bisogno, anzitutto, di un accordo tra le varie componenti della coalizione 8 marzo e tra quelle del gruppo 14 marzo. Poi i due fronti dovranno trovare un’intesa tra di loro. Insomma, la chiave per sbloccare lo stallo non è affatto a portata di mano”.