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Ecco gli intoppi del nuovo governo in Libia

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Venerdì prossimo scadranno i quindici giorni di tempo che il delegato delle Nazioni Unite Martin Kobler ha dato al futuro premier libico Fayez Serraj affinché lui e la sua squadra di governo possano insediarsi a Tripoli. Giorni fa alcuni osservatori sostenevano che un governo che non avrà sede a Tripoli sarà inutile e non riconosciuto. Se entro venerdì non ci sarà luce verde, si dovrà riunire nuovamente il Dialogo, ossia l’entità politica costruita dall’Onu per veicolare i passaggi verso l’unità nazionale.

IL PASSAGGIO POLITICO

L’Onu ha avallato la linea dettata da Europa e Stati Uniti che hanno deciso di bypassare le istituzioni locali e conferire legittimità politica e riconoscimento internazionale ad un documento firmato a fine febbraio da un folto gruppo formato da 101 parlamentari di Tobruk, che rappresenta la maggioranza dell’assise riconosciuta dalla Comunità internazionale. Il documento in questione era una sorte di endorsement, quasi personale, che quei membri dell’HoR avevano redatto, ma non è un voto parlamentare: ciò nonostante gli attori occidentali che stanno cercando di sollecitare il processo di pace e riunificazione del paese hanno deciso di farselo bastare. Davanti la minaccia dello Stato islamico, che si unisce ad una potenziale crisi migratoria dal Mediterraneo del sud, che si abbinerebbe a quella risolta sulla carta (ancora in piedi nei fatti) da oriente, ossia dalla Siria.

I PASSAGGI DI SERRAJ

Serraj assicura che nei prossimi quattro giorni il governo si insedierà nella nuova/vecchia capitale. Il risultato di questo processo di ingresso dei membri del Consiglio presidenziale, l’organo istituito dall’Onu per gestire i passaggi politici, in Libia è un rebus: attualmente quasi tutti i futuri ministri gravitano fuori del paese (le riunioni si fanno a Tunisi), anche se ce ne sono alcuni, come il vicepremier e vicepresidente del Consiglio Ahmed Maitig, che entrano ed escono a piacimento dalla Libia e da Tripoli. È una questione di rappresentatività e di controllo del territorio: Maitig ne ha, fu primo ministro ad interim nominato dal Congresso generale nazionale (ossia la parte politica dello pseudo governo di Tripoli), Serraj invece ne ha sicuramente meno. Il premier di Tripoli, Khalifa al Ghwell, in questi giorni è tornato a lanciare moniti e ha avvertito Serraj: “Se vuole entrare a Tripoli come cittadino libico è benvenuto. Se vuole venire come presidente del governo, lo arrestiamo” (nota: non sarebbe la prima volta che membri del cosiddetto Gna, il Governo di accordo nazionale, finiscono in manette in Libia; poco tempo fa era toccato a tre futuri ministri essere fermati appena messo piede al check out dell’aeroporto Maitiga).

LE MINACCE DA TRIPOLI E TOBRUK

Si tratta comunque di minacce zeppe di folklore: sabato il presidente del Consiglio di Tobruk, Abdullah al Thinni, filo-egiziano, è stato anche lui protagonista di uscite dure contro Serraj calcando temi populistici come l’imposizione da parte degli stranieri e la violazione della sovranità, per far breccia nell’animo nazionalistico libico. Pochi giorni fa l’analista Mattia Toaldo aveva spiegato a Formiche.net che né Tripoli e né Tobruk ormai sono più così tanto rappresentativi del proprio territorio. Ossia, nella galassia di milizie e poteri locali, ce ne sono molti che si sono dissociati dai due scatoloni governativi e adesso pensano soltanto al Gna; quei 101 parlamentari, che altro non sono che rappresentanti politici di questi poteri, d’altronde non sono pochi. La Comunità internazionale ha provveduto al logoramento di queste rappresentanze locali, cercando di erodere le posizioni più intransigenti: l’UE ha alzato sanzioni contro il presidente del parlamento di Tobruk Saleh Aghila ma anche il presidente del Congresso nazionale, Nouri Abusahmain, e il premier di Tripoli, al Ghwell. Senza partner e appoggi al di fuori della Libia questi personaggi/poteri non possono muoversi troppo: e Onu, Europa e Stati Uniti, sembrano in questo momento intenzionati a procedere, anche e nonostante la presenza di sponsor esterni che cercano di muovere i propri interessi in Libia, vedi Turchia e Egitto, rispettivamente con Tripoli e Tobruk.

GLI SCONTRI SUL CAMPO

Resta comunque da vedere cosa succederà sul campo nel momento in cui Serraj deciderà di fare il primo passo verso il suo cammino in Libia, nel senso letterale del concetto. Sabato e domenica sono state due giornate di fuoco a Tripoli: una milizia del posto si è scontrata con un’altra collegata a Misurata. Misurata è uno dei centri di potere fondamentali da cui bisogna passare se si vuole governare a Tripoli. I consigli locali (Municipale, Militare e dei Saggi) sono in dialogo continuo per prendere posizioni sul futuro governo, anche se il Consiglio municipale, l’organo politico, ha già dichiarato appoggio a Serraj (i politici misuratini hanno molti contatti con i paesi occidentali, tra cui l’Italia), irritando gli altri due organi che hanno giudicato l’uscita troppo precoce.

Gli scontri sono avvenuti tra la milizia Alsamood del ribelle comandante misuratino Salah Badi, la Tripoli Operation Room (braccio armato del presidente tripolitano Abusahmain) e la milizia guidata da Haitam al Tajouri, realtà ostili all’insediamento di Serraj, mentre sull’altro lato un convoglio armato da Misurta era partito per aprire la strada all’ingresso del Gna in città. Per le informazioni ricevute da Repubblica, questi scontri sarebbero più che altro “dimostrativi”: ossia le milizie amiche dell’Onu vogliono dimostrare la propria lealtà combattendo chi si oppone alla linea che ormai dovrebbe essere maggioritaria.

LA MORTE DI UN NAZIONE

Serraj, da Tunisi, assicura che la sua squadra ha già stretto gli accordi giusti e necessari per garantirsi sicurezza e protezione: una forza in più Serraj la trova dai libici, dai cittadini comuni, stremati da anni di guerra, in profonda crisi economica, senza riferimenti istituzionali e senza un futuro credibile davanti se non il Gna, come racconta un reportage tra la gente realizzato da Cristiano Tinazzi per Eastonline.


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