Dal trentaseiesimo vertice Italia-Francia tenutosi martedì 8 marzo a Venezia esce anche un linea sulla Libia, dove lo Stato islamico non si ferma, manca ancora un’intesa per il governo unitario, e le posizioni occidentali oscillano tra il guerresco e l’attendista.
RISOLVERE LA CRISI IN LIBIA
“La formazione di un governo in Libia è una priorità per i popoli della Libia. I libici per primi devono sapere che il tempo a loro disposizione non è infinito” è stata la diplomatica apertura dell’argomento fatta dal premier italiano Matteo Renzi durante la conferenza congiunta, a cui il presidente francese François Hollande ha risposto esprimendo solidarietà per le vittime italiane (i due tecnici della ditta Bonatti rapiti e rimasti uccisi la scorsa settimana). Sebbene questo filone abbia accompagnato l’incontro, con Renzi che ricordava quando la Marsigliese suonò in piazza San Marco in occasione dei funerali di Valeria Solesin, la studentessa italiana uccisa nell’attentato del 13 novembre al Batclan di Parigi — ”un brivido“ ha detto il premier, sottolineando che non è un caso se il vertice si è svolto a Venezia l’8 marzo, giorno della festa della Donna —, i due leader hanno affrontato anche l’argomento libico da un punto di vista più concreto.
LA LINEA DI PARIGI
”Dobbiamo agire, l’Europa deve agire, i nostri paesi devono lottare contro il terrorismo, bisogna sorvegliare un certo numero di spostamenti dei foreign fighters che minacciano i nostri Paesi“, ha detto Hollande, tracciando indirettamente una linea già adottata da Parigi che riguarda il contenimento terroristico a livello globale (per esempio la missione nel Sahel, la partnership con l’India, i dialoghi aperti con Russia, Turchia e Arabia Saudita, nell’ottica del ”dobbiamo parlare con tutti“ detto dal capo dell’Eliseo). E ancora: ”Faremo di tutto perché alla fine ci sia un governo in Libia. Ma anche in questo caso la lotta contro l’Is deve essere condotta. Possiamo essere all’altezza sia in Libia, sia in Siria contro il terrorismo“, altro passaggio che spiega dal lato potabile la strategica francese segnalata in queste settimane passate: avviare attività “discrete” (non ufficiali) per portarsi avanti con le operazioni contro lo Stato islamico, che dalla Libia sta iniziando a dare dimostrazione della dimensione regionale della minaccia che rappresenta (e che preme ai francesi) con azioni come quella di lunedì contro una cittadina sulla costa appena oltre il confine tunisino.
LO STALLO POLITICO
Mentre Renzi e Hollande si incontravano, dalla Libia arrivavano nuovamente notizie sull’assenza del numero legale al governo di Tobruk per votare l’esecutivo unitario proposto dal primo ministro designato Fayez Serraj. Una notizia sulla mancanza di intesa che seguiva quella pubblicata poche ore prima dal locale Libya Herald secondo cui tre membri del nuovo esecutivo arrivati a Tripoli sarebbero stati arrestati dalle autorità locali. L’esecutivo Serraj si muove per incontri fuori dalla Libia, e Omar Mohamed Douaiher, Abu Ghassem Amin Ali and Abdulhakim Muftah Warefelli, membri del comitato di sicurezza temporaneo istituito dal Consiglio Presidenziale pare siano stati fermati di ritorno dalla Tunisia all’aeroporto Mitiga, trattenuti poi rilasciati, interrogati e poi rilasciati dopo poche ore. Pare che gli siano stati sequestrati i passaporti.
L’APPOGGIO EGIZIANO
“Bisogna rimuovere gli ostacoli per la nascita del nuovo governo libico”, ha detto Renzi e Hollande ha accettato di esercitare pressioni “su paesi esterni che influenzano la Libia”, ossia sull’Egitto che potrebbe giocare ruolo centrale per accelerare la costruzione del governo di unità nazionale in Libia, su cui invece sta frenando per questioni influenza che interessano da sempre la Cirenaica e per interessi sulla spartizione delle ricche entrate petrolifere libiche. Il Cairo e Parigi vivono un periodo di particolare sintonia legato alla chiusura di alcuni affari di grosse dimensioni anche in ambito militare: finiranno alla Marina egiziana le due navi classe Mistral che i cantieri francesi Dcns avevano preparato per la Russia, ma che erano state bloccate dalle sanzioni internazionali legate alla crisi ucraina. Un affare da un paio di miliardi di euro chiuso a settembre 2015, che ha salvato il costruttore francese dal fallimento, e arrivato dopo che a febbraio dello stesso anno, grazie al lavorio diplomatico del potentissimo ministro della Difesa Yves Le Drian, Parigi era riuscito a piazzare al Cairo anche una fregata Fremm e ventiquattro cacciabombardieri Rafale della Dassault Aviation per un totale di 5,2 miliardi di euro.
I RAPPORTI FRA EGITTO E FRANCIA
Dai tavoli dei contratti, la partnership tra Egitto e Francia è passata anche all’atto pratico: da settimane si rincorrono voci su un possibile coordinamento tra le due aviazioni per portare a termine attacchi aerei contro lo Stato islamico a Sirte, Bengasi e nei distretti petroliferi, mentre una rivelazione del Monde ha parlato dieci giorni fa della presenza di unità di forze speciali francesi a Benina, una base nei pressi di Bengasi controllata dal governo di Tobruk, di cui l’Egitto è il principale sponsor internazionale. Da questo la richiesta di intercessione di Renzi, dato che uno dei motivi di stallo del processo politico ruota ancora attorno al ruolo del generale Khalifa Haftar, uomo forte dei cirenaici ed emanazione egiziana in Libia. Intanto in questi giorni sono iniziate le esercitazioni militari congiunte Ramses 2016 tra forze egiziane e francesi in mare, a poche miglia nautiche dalle coste libiche: è arrivata nell’area la portaerei Charles de Gaulle direttamente dal Persico con il suo gruppo da battaglia. Secondo molti osservatori è il preludio per un ulteriore step up francese un Libia.
IL PIANO AMERICANO
Nello stesso giorno dell’incontro tra Renzi e Hollande, il New York Times ha pubblicato i dettagli di un piano che il Pentagono ha studiato per un intervento di medio livello in Libia. Gli strateghi americani hanno individuato dopo mesi di missioni di ricognizione aerea e probabilmente di intelligence a terra, una quarantina di obiettivi dello Stato islamico. Si tratta di campi di addestramento, basi, centri di comando e arruolamento, depositi di armamenti, da colpire con un’intensa campagna aerea da coordinare con gli alleati inglesi, francesi ed italiani, magari supportata a terra da qualcuno che illumini i bersagli, anche per evitare circostanze come quella del 19 febbraio, in cui durante un raid americano contro un campo dello Stato islamico morirono due ostaggi serbi, o come quella che ha portato alla morte i due ostaggi italiani, in un probabile blitz operato dalle forze di sicurezza della municipalità di Sabratha, non del tutto limpide e affidabili. La mancanza di dati precisi è uno dei motivi per cui la Casa Bianca ha già detto che il piano resterà per il momento nel cassetto, insieme proprio all’assenza di partner locali unici e affidabili: il dipartimento di Stato spinge affinché una soluzione politica attraverso l’esecutivo di concordia sponsorizzato dalle Nazioni Unite possa fare da apripista formale per un’eventuale azione internazionale. Per questo si muovono le diplomazie incrociate verso i principali sponsor esterni di Tripoli e Tobruk, rispettivamente Turchia e Qatar e Egitto e Emirati Arabi. Una fase delicata, dove una pressione in più può sbilanciare i delicati equilibri e far tornare indietro il processo di unità.