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Perché Berlino non teme la crisi dei profughi. Parla Angela Merkel

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La prima parte dell’intervista si può leggere qui

La sera del 28 febbraio, durante il talk show di Anne Will andato in onda sul canale pubblico ARD, Angela Merkel ha esposto in un lungo faccia a faccia la sua visione della Germania, dell’Europa e della soluzione della crisi dei profughi. La cancelliera tedesca è convinta di farcela. Che la Germania ce la farà e ce la farà anche l’Unione europea. È vero, nel Paese si nota anche una crescente polarizzazione e politicizzazione. Ma, fa notare la Merkel, fino a poco tempo fa ci si lamentava che non ci fosse più dibattito. Non vuole fissare un tetto massimo di profughi da far entrare in Germania. È convinta che l’accordo tra Ue e Turchia contribuirà a ridurre il flusso di profughi che arrivano in Europa. Non ha piani B e non vuol sentirne parlare. Ed è convinta che un politico abbia il “maledetto” dovere di risolvere le situazioni e non di descrivere il mondo come una catastrofe. Il mini congresso di Vienna che si è tenuto la settimana scorsa è stato “una decisione infelice”, ma quando si vedranno i primi risultati del piano turco-europeo, sottoscritto anche dall’Ungheria, anche i più riottosi rivedranno la loro posizione.

Ecco la strategia che Angela Merkel porterà al vertice straordinario dell’Ue sui profughi in programma il prossimo 7 marzo.

Anne Will: Qual è il numero massimo di profughi che la Germania è in grado di accogliere?

Angela Merkel: Questo non glielo so dire, perché non so dire con certezza quanti ne verranno ancora.

AW: Ma perché si rifiuta di dire una cifra? In fondo sembra chiaro che il numero massimo è di 1,1 milioni di persone. Altrimenti non dovremmo mica ridurre il flusso.

Da noi non sono arrivati 1,1 milioni di persone l’anno scorso. È una cifra scaturita da un sistema di registrazione non ancora perfezionato. Questo numero comprende anche doppioni. Detto questo, è evidente che ne sono arrivati molti, veramente molti. Il numero esatto lo sapremo però dopo aver dato a tutti la carta di identificazione del profugo. Nel frattempo abbiamo già fatto passi avanti: da prima di Natale tutti i profughi vengono registrati. Ma tornando alla sua domanda: quanti saranno in futuro? Non posso dirlo perché dipenderà dalle cause della fuga e da come saremo riusciti perlomeno a mitigarle. Comunque nel frattempo qualcosa si sta muovendo.

Ma restiamo ancora un momento sul numero massimo.

Ok, allora aggiungo che dipenderà dall’evoluzione della situazione complessiva. Dipenderà per esempio dal cessate il fuoco in Siria, se reggerà avremo una situazione completamente diversa in Turchia: perché c’è una differenza tra l’avere 2,5 milioni di profughi o 3,5 milioni perché la gente continua a fuggire da Aleppo. Tradotto vuol dire che dobbiamo continuare a sostenere il processo politico in Siria. Per questo non posso dire: “La Germania fa questo e basta”. E se poi ci sono Paesi messi sotto pressione, che si fa?
Non sto evitando di rispondere, sono solo sincera. E torno a ripetere, dobbiamo concentrarci sulle cause, sulla protezione delle frontiere esterne, impedire il traffico degli scafisti e poi ragionare insieme alla Turchia, al Libano e alla Siria su quante persone arrivano da noi. E il numero dipende dalla situazione in quei Paesi e non solo da noi. Come sempre bisogna soppesare, capire qual è l’iniziativa più utile: se accogliere più persone oppure dare più soldi. E per questo non posso dire: la Germania fa questo e non un passo di più.

Eppure non crede che toglierebbe molta pressione se promettesse ai tedeschi che dopo un certo numero di profughi anche la Germania non andrà? Che di più non accoglierà?

Io mi sono ripromessa che in una situazione così seria come quella in cui ci troviamo, non avrei detto cose che hanno la validità di tre settimane. Mi sono ripromessa di dare delle risposte che tengono conto del contesto e al tempo stesso di impegnarmi ad ottenere i risultati che le persone si aspettano, cioè di ridurre il numero dei profughi che arrivano da noi ogni anno. Dire X per aver come risultato Y e doverlo ammettere dopo qualche settimana creerebbe ancora più frustrazione e delusione.
E poi, come dovrei presentarmi alla Turchia? Dovrei dire ai turchi: “Allora ci siamo accordati su questo numero e basta”? Che margine di azione avrei a quel punto? Come potrei pensare di arrivare a un accordo ragionevole con loro, visto che la Turchia si trova tutte le sere 70-100mila persone davanti alle sue frontiere, persone in fuga da Aleppo. Le immagini le vediamo anche noi. E noi che facciamo, diciamo loro di fare entrare queste persone perché non vogliamo più vedere immagini simili, e al tempo stesso gli ricordiamo però che già da due mesi avevamo comunicato il numero massimo di siriani che avremmo accolto? Così non funziona. Non ci sarebbe margine di trattativa, non ci sarebbe accordo. Certo, devo riuscire a spiegare tutto ciò molto chiaramente all’opinione pubblica, e così, ne sono convinta, avrò dalla mia anche molti di loro.

Nel frattempo abbiamo nuove immagini di persone disperate in fuga, bloccate davanti a una frontiera. Adesso è quella tra la Macedonia e la Grecia. Persone che si sono messe di nuovo a camminare lungo le autostrade, non più quelle ungheresi ma quelle greche. Perché questa volta non è intervenuta e le ha fatte portare in Germania? Non è che nel frattempo ha imparato dai suoi errori?

No, continuo a essere convinta che la decisione di settembre sia stata giusta. Vorrei però aggiungere una cosa. Si è sempre detto che io abbia aperto le frontiere. Ma le frontiere il 4 e 5 settembre erano aperte. Io, semplicemente non le ho chiuse. Già in giugno erano arrivate più di 50mila persone, a fine agosto 102mila, in settembre 147mila e in ottobre 211mila. Io non le ho aperte, ho semplicemente continuato a fare quello che si faceva già il giorno prima, quando arrivavano già dall’Ungheria con treni speciali.
Ora ho fatto una cosa diversa. Quando ho appreso della decisione unilaterale dell’Austria, una decisione a mio avviso infelice, e per giunta presa prima del vertice già concordato del 18 marzo, mi è stato subito chiaro cosa sarebbe successo.

Intende la decisione di fissare un tetto massimo?

Sì. Così ho deciso che non potevamo attendere il vertice regolare, ma dovevamo farne uno prima. Certo, c’era anche la ragione che il premier turco non poteva venire.

E le elezioni regionali.

No, proprio no. Se l’Austria non avesse preso questa decisione avremmo potuto aspettare fino al vertice regolare del 18 marzo. Cosa che avrei preferito, anche perché avremmo già potuto farci un’idea del primo periodo di intervento della Nato a protezione delle frontiere esterne. Missione che sta iniziando ora. Avremmo potuto implementare anche i passi successivi decisi a livello di Commissione europea e forse sarebbero anche già arrivati meno profughi. Avremmo avuto più tempo per preparare la Grecia. Costruire i centri di accoglienza affinché il Paese sia più equipaggiato a proteggere le frontiere esterne, compito che spetta alla Grecia in quanto parte di Schengen. Avremmo potuto ragionare su come accelerare la ridistribuzione dei profughi. Per tutto questo avremmo avuto più tempo. L’Austria ha però deciso che vuole 80 profughi al giorno e non uno di più, e questo ci ha portato alla situazione attuale. Abbiamo offerto il nostro aiuto alla Grecia. Loro si avvalgono però dell’Unhcr e pensano di farcela da soli, seppur con grande fatica. Stando le cose come stanno, io a quel punto ho detto che dobbiamo incontrarci già l’8 marzo, perché non è che abbiamo fatto di tutto per tenere la Grecia nell’euro e ora lasciamo il Paese al suo destino. Fa pur sempre parte dell’Ue, dell’Eurozona e di Schengen, e inoltre ha una marea di problemi. È vero i greci sono stati lenti, dovrebbero avere già organizzato 50mila posti di accoglienza, ma non ce li hanno. Non per questo li possiamo abbandonare. Quello che mi fa più paura è che ognuno chiude le proprie frontiere e il vicino ne paga il prezzo. Questo per me è inaccettabile.

Ma è quello che sta succedendo. Prima le dicevo che in settembre ha fatto passare i profughi fino da noi, questa volta però non l’ha fatto. Deve essere dunque successo qualcosa. Forse anche il suo atteggiamento è cambiato. Lei dice che non è stato un errore risolvere così la situazione in Ungheria, e molti le danno anche ragione, si trattava di una questione umanitaria. Ma forse è stato un errore non dire che quella era una misura eccezionale. Così come un errore madornale è stato secondo me il non aver coinvolto a settembre anche gli altri partner europei. Adesso le viene presentato il conto.

Sempre guardando a quella notte, direi che si è trattato di un imperativo umanitario categorico. In secondo luogo, le ripeto, non trovo che sia accaduto qualcosa di così eccezionale, i numeri di quanti erano arrivati nei mesi precedenti glieli ho già citati. E il giorno prima erano arrivati con treni straordinari quei profughi a cui Viktor Orbán aveva fatto acquistare il biglietto, per poi non farli però salire sui treni. E queste persone si sono allora messe in cammino lungo l’autostrada. Anche dopo abbiamo accolto i profughi che erano già tutti in viaggio per l’Europa. Ripeto, la mia decisione è stata giusta. Oggi siamo già un passo avanti. In ottobre c’è stata una conferenza dei Paesi dei Balcani occidentali. Lì si è deciso che tutti questi Paesi, Grecia compresa, devono creare strutture di accoglienza. E per evitare che Grecia si trovi da sola, isolata, abbiamo indetto il vertice di lunedì prossimo.

Quello che mi stupisce, signora Bundeskanzlerin, è che lei continua a tracciare un’immagine sostanzialmente positiva dell’Ue. Mentre altri non la pensano così. Avrà sentito anche lei quello che ha detto il ministro degli Esteri lussemburghese Jean Asselborn: “Non abbiamo più una linea comune, ci stiamo muovendo verso una sorta di anarchia”. Lei pensa veramente che questa Ue anarchica la seguirà in una soluzione europea, o se vuole turco-europea?

Ho molta stima del ministro degli Esteri del Lussemburgo, ma devo anche dire che noi in quanto politici abbiamo una responsabilità. Certo, si possono descrivere le situazioni, non ho niente in contrario. È una cosa che si può fare se si è sociologo, giornalista. Noi politici abbiamo però il compito di trasformare situazioni complicate e in divenire in qualcosa di ragionevole. Ed è questo quello che mi guida, mi caratterizza. E credo che questo valga anche per i 28 capi di governo e di Stato.

Secondo me Asselborn è disperato proprio perché teme che tutto ciò possa non riuscire.

Mah, sa, anch’io a volte sono disperata. Allora dico qualcosa, subito dopo cerco però di immaginarmi anche come dalla disperazione possa nascere di nuovo qualcosa di ragionevole. Per questo si è politici. Non si è politici per descrivere la situazione mondiale come catastrofica e per essere disperati. È vero, le cose a volte vanno troppo a rilento, ci vorrebbe più velocità, in Europa ci sono interessi contrastanti. Solo che è mio maledetto – e mi scusi se uso questa parola – dovere fare di tutto perché questa Europa trovi una via comune. E il 18 febbraio avevamo, a mio avviso, trovato per la prima volta punti in comune: protezione delle frontiere esterne, preservare Schengen.

Mah non è vero.

Certo che è vero.

No, nel frattempo abbiamo una nuova frontiera esterna, basta vedere la cartina attuale con le frontiere chiuse. La prima frontiera alla quale giungono i profughi oggi è quella con la Macedonia, che come tutti sanno non è un Paese dell’Ue. Ovunque sono state trovate soluzioni nazionali, chiusure. Fino all’Austria, che ha detto a sua volta “Stop! non vogliamo più nessuno”. Il risultato di tutto ciò è – e questo certo non è stato deciso di comune accordo -, che in Germania arrivano ora solo 50 persone al giorno. Non si potrebbe dire che gli altri hanno risolto il problema per lei?

Direi proprio di no, basta guardare le immagini che arrivano dalla Grecia. Perché s’è verificato esattamente quello che temevo: e cioè che un solo Paese si ritrova a gestire il problema.

Sì, ma agli altri va bene, a quanto pare. Per loro è la soluzione.

Ora non so se veramente pensano che questa sia la soluzione. Hanno deciso da soli escludendo un Paese. Non è una cosa positiva. Hanno chiuso le frontiere della Macedonia senza parlare con la Grecia, senza chiedere alla Grecia se intende proteggere le frontiere, un compito che le compete, non ultimo perché fa parte di Schengen. Secondo me la differenza sta tutta qui. Tutti vogliamo proteggere le frontiere esterne; abbiamo deciso insieme di dare la priorità al piano Ue-Turchia e alla missione Nato. Ma, e capisco il suo scetticismo, molti non credono in questa soluzione Ue-Turchia e dicono “chissà se funzionerà”. Il fatto è che affrontare una situazione simile con questo atteggiamento non aiuta, anzi. Io non posso occuparmi continuamente di soluzioni a breve termine, solo perché la vera soluzione, che tutti hanno peraltro sottoscritto, potrebbe non funzionare. Così non si arriva da nessuna parte, questo almeno è quello che penso io. E per questo mi butto anima e corpo, metto tutta la mia energia nel perseguire questa strada, che tutti giudicano ragionevole, ma nella quale molti continuano a non credere. E comunque qualche progresso l’abbiamo già fatto.

Ne è davvero convinta? Guardi i Paesi dell’est Europa che rifiutano categoricamente di accogliere profughi. Dov’è la sintonia?

Restiamo un attimo sui confini esterni. Finché perdura l’impressione che siamo impotenti, che tanto sono gli scafisti ad avere in mano il potere, che può arrivare chiunque, che non c’è ordine né controllo, i più continueranno a mostrarsi scettici, impauriti, a chiedersi dove porterà tutto questo. Ma proseguire nella direzione decisa insieme, rafforzare i controlli, avere l’operatività della Nato in zona, la collaborazione con la Turchia, può cambiare le cose. Le navi della Nato faranno ricognizioni, scoveranno le imbarcazioni degli scafisti, si vedrà come possono collaborare con la guardia costiera turca; ci sarà Frontex. E se tutto questo funzionerà, molti si chiederanno anche se nell’ottica di una distribuzione dei compiti, non sarebbe sensato anche accogliere dei profughi. E i 160mila che non sono ancora stati ricollocati, e sono d’accordo con lei, i tempi per fare questo stanno diventando biblici.

Già, lei stessa nel discorso al Bundestag in febbraio ha detto: “Ci renderemmo ridicoli se volessimo ora parlare di” …

Sì di contingenti, perché prima dobbiamo avviare il nostro piano comune. E chissà forse anche le immagini che arrivano ora dal confine macedone possono sortire un qualche effetto. Personalmente mi concentro sul percorso che reputo più ragionevole. E comunque, torno a ripetere, qualcosa è già stato fatto: ci sono i 3 miliardi di euro per la Turchia e anche i primi progetti per i profughi siriani in Turchia sono stati avviati. Abbiamo iniziato a controllare il Mar Egeo, abbiamo accordi bilaterali con la Turchia per la collaborazione tra le nostre due polizie. Si può dire che tutto sta procedendo troppo lentamente. Ma questa è l’unica via che c’è per fare qualcosa non solo per i profughi in Turchia, ma anche per quelli in Libano e in Giordania. E grazie alla Conferenza di Londra, non ci saranno più tagli alle razioni alimentari. Tutto questi sono passi che ci porteranno veramente e concretamente avanti.

E io ripeto, i Paesi dei Balcani occidentali e quelli dell’Europa dell’Est non sono convinti della sua direzione, per questo hanno scelto un’altra strada. A volte anche con atteggiamento marziale. La mia domanda ora è: la chiusura della frontiera macedone è solo un piano B o rischia di diventare l’unico rimasto alla fine del vertice di lunedì?

Forse hanno agito così perché a loro tutto pare procedere troppo lentamente. La Germania ha un altro tipo di responsabilità. La nostra responsabilità è quella di giungere a una soluzione, che non vada però a discapito di un altro Paese. Noi dobbiamo trovare una soluzione buona per tutti i Paesi. Così abbiamo fatto durante la crisi dell’euro e così dobbiamo fare anche con i profughi.

Così dicendo non le sembra di dare ragione a Orbán secondo il quale, il problema dei profughi “non è un problema europeo ma tedesco”? E così alla fine non ci sarà una soluzione turco-europea, ma semplicemente una soluzione turco-tedesca.

No, anche Orbán ha accettato la priorità dell’agenda turco-europea, il controllo delle frontiere esterne. Solo che per lui tutto procede troppo lentamente e inoltre pensa che non funzionerebbe. Così ha fatto di testa sua. Ha idea di cosa succederebbe se io mi presentassi alla Turchia con un piano e al tempo stesso dicessi che tanto non ci credo, per cui faccio di testa mia? Il fatto è comunque che non si può lasciare la Grecia a gestire da sola questo problema. Per questo lunedì prossimo discuteremo, insieme alla Grecia, su come ripristinare passo dopo passo Schengen.

Già, ma lei che strumento di pressione ha? Per gli altri Stati la loro soluzione funziona, e chi se ne importa della Grecia.

Ma lei pensa veramente che l’anno scorso i Paesi dell’Ue che hanno fatto di tutto per tenere la Grecia nell’Eurozona – e allora noi tedeschi, se si ricorda eravamo i più severi – un anno dopo possano accettare che la Grecia finisca nel caos totale?

Vero, ma allora lei era in un’altra posizione e poteva risolvere il problema con i soldi. Oggi dipende dalla benevolenza degli altri, è nella posizione del postulante.

No, non sono affatto nel ruolo di una postulante, e non ho un ruolo di rilievo. Tutti noi abbiamo delle responsabilità. Tutti vogliamo mantenere Schengen, questo è il nostro asset. Tutti vogliamo salvaguardare la libertà di movimento. E lo vogliono anche i polacchi, i cechi.
Orbán ora vuole tenere un referendum sui 1294 profughi da accogliere, che sarebbe la parte spettante all’Ungheria dei 160mila da ricollocare. Potrebbe essere anche tentato di detrarre da questo contingente qualcosa, visti i molti profughi ucraini che sono in Ungheria. È un modo di procedere che non condivido.
Ma venendo al vertice del 18 febbraio. La domanda che ho avvertito si pongono tutti è: che fare in futuro di questa Europa? Vogliamo tornare al passato o andare avanti, anche economicamente, nella libertà di movimento; è possibile avere una moneta comune se l’Europa torna ad essere attraversata da frontiere; cosa vuol dire tutto questo per la permanenza della Gran Bretagna in Europa se gli Stati membri sono così divisi? E tutte queste domande testimoniano la volontà di trovare una soluzione, anche se a volte tutto sembra procedere troppo lentamente.
Io cercherò l’accordo con gli altri anche perché la Germania è un Paese forte, è la più grande economia in Europa e dunque ha una responsabilità. E devo dire che proprio dai Paesi Bassi che hanno attualmente la presidenza di turno dell’Ue, e da Mark Rutte, il premier, ho attualmente un grande sostegno. Donald Tusk farà di nuovo un viaggio nelle varie capitali. E credo che qualcosa stia iniziando a muoversi, perché improvvisamente ci domandiamo tutti dove andremo a finire se ognuno risolve il problema a modo suo ed esclusivamente per sé.

Lei esclude che la Germania possa ritrovarsi da sola ed essere l’unico Paese disposto ad accogliere un contingente di profughi dalla Turchia?

Se riusciamo a proteggere le frontiere esterne e la Turchia collabora con noi come ha deciso di fare, allora si, lo escludo.

E se invece lunedì prossimo tutto dovesse andare tutto a rotoli? Se non le riuscisse a far passare questa soluzione turco-europea, trarrebbe delle conseguenze anche per sé?

Certo che no, io devo continuare. Se lunedì non esce niente, anche se certo si tratta di un vertice importante, allora c’è il prossimo, il 18 marzo. E comunque lunedì non avremo ancora la missione Nato a regime, la collaborazione con la guardia costiera turca sarà ancora suscettibile di aggiustamenti. Lunedì avremo al massimo prime impressioni di tutto ciò. E il numero dei profughi arrivati in Turchia non sarà certo sceso a zero. Ma sono dell’avviso che stiamo percorrendo una strada giusta e io lotterò per proseguire lungo la stessa. Non so come la pensa lei. Ma non è che si può agire sempre giocando su due piani. Da una parte lotto per riuscire a raggiungere il mio obiettivo, dall’altra sono già convinto che tanto non ce la farò, per cui mi proietto su un’altra soluzione.

Ma è quello che fanno gli altri…

Sì, può darsi, ma non credo che possa avere successo. Una volta ho detto che voglio servire la Germania e penso che posso servirla solo se mi comporto diversamente, se metto tutta me stessa nella soluzione di questo problema, e devo dire che ho molti sostenitori e questo mi fa piacere.

Lei esclude di cambiare rotta, anche se gli altri non la seguiranno, ma proseguiranno per la loro strada? Dalla Baviera giungono notizie che vi siano già in atto preparativi per proteggere il confine austro-tedesco.

Sono molto ottimista che alla fine si affermerà la via turco-europea, come detto non è proprio tempo di pensare a soluzioni alternative. Al momento stanno arrivando pochissimi profughi e quelli che arrivano vengono tutti registrati. Motivo per cui non credo abbia senso discutere di questo.

Lei esclude questa soluzione nazionale, o ha per caso un piano B nel cassetto?

No, non ce l’ho. Ho solo un piano. Normalmente non rispondo alle speculazioni. Non hanno senso, dobbiamo muoverci in una direzione, solo così riusciremo a procedere passo, passo, anche se lentamente. Dal 29 novembre, quando si è tenuto il primo vertice Ue-Turchia, a oggi, è già possibile un bilancio. Da allora siamo riusciti a garantire, grazie alla Conferenza di Londra, cibo per tutti i profughi per quest’anno; l’Ue ha garantito 3 miliardi di euro alla Turchia; i profughi in Turchia hanno ora un permesso di lavoro; abbiamo posto le basi per un controllo migliore dei confini esterni. Non è che si può lasciar cadere tutto questo e dire: “Non ne uscirà nulla”. A mio avviso siamo messi meglio di quanto qualcuno pensi, ma certo abbiamo davanti ancora un bel percorso.

Lei non è solo Bundeskanzlerin, ma anche capo della Cdu, motivo per cui la attende anche un’altra scadenza imminente: quella delle elezioni regionali del 13 marzo. Cosa succede se queste elezioni si dovessero risolvere in una disfatta e né Julia Klöckner né Guido Wolf vinceranno?

Anche qui la devo deludere. Come detto non mi piacciono le speculazioni. Mi sto impegnando molto nella campagna elettorale, sono al fianco di questi due candidati. È vero, i contesti non sono sempre facili e anche qui penso che i prossimi giorni saranno decisivi. Ma solo chi è convinto di sé e crede in sé può ottenere anche successi. Nel Baden-Württemberg la situazione non è proprio facile, perché l’attuale governatore (Wilfred Kretschman, un verde, n.d.t.) sostiene la mia politica, il che è ovviamente una cosa positiva e mi fa piacere.

Mi pare di aver letto che sia Julia Klöckner sia Guido Wolf si sono distanziati dalla sua posizione.

Vorrei terminare la mia frase. Dunque, il governatore sostiene la mia politica e questo ovviamente mi fa piacere, così come sono contenta di ogni sostenitore. Agli elettori dico però anche, che chi vuole veramente sostenermi dovrebbe votare Cdu nel Baden-Württemberg così come nel Rheinland-Pfalz. E per quel che riguarda il distanziamento, si tratta di quel piano che Julia Klöckner ha chiamato A2. Contiene cose con le quali si può essere d’accordo. Per esempio quando parla di centri frontalieri, noi attualmente abbiamo quelli di prima accoglienza; oppure di migliorare la pianificazione. Certo, sul limite massimo di accoglienza siamo di pareri diversi. Per il resto però facciamo campagna elettorale insieme e promuoviamo le stesse idee. E se ci accompagnate con radio e tv, come peraltro fate, potrete vedere l’interesse delle persone, l’attenzione con la quale seguono i comizi, certo c’è anche chi mi attacca, ma questo fa parte della democrazia.

Strada facendo è spuntato un nuovo partito, a destra della Cdu, e incredibilmente forte. Cioè l’AfD (Alternative für Deutschland). Pensa sia colpa sua?

No, non me ne faccio una colpa, ma certo mi dà anche da pensare. Perché bisogna tracciare una linea netta tra ciò che è democraticamente difendibile e invece le numerose tentazioni di assumere posizioni di estrema destra, fino prendere in considerazione di sparare (contro i profughi). Invito chiunque desideri contribuire costruttivamente alla risoluzione del problema dei profughi a votare uno dei partiti democratici, ed essendo io a capo della Cdu, di votare nel dubbio Cdu. Credo che nel momento in cui il problema sarà risolto, allora ci sarà anche meno consenso per quel partito, e questo mi anima a fare di più, a impegnarmi ancora di più per trovare più velocemente la soluzione duratura al problema.

Lei stessa si era immaginata una soluzione più semplice della questione profughi?

Sapevo che sarebbe stato probabilmente, anzi sicuramente, il problema più difficile con il quale ci siamo confrontati negli ultimi anni.

Quello più difficile da quando è al governo.

Sì, fino a oggi sì, anche se non si sa mai cosa riserva in futuro. La crisi finanziaria internazionale è stata già una grande sfida, che abbiamo però superato bene. La crisi dell’euro è stata una sfida immensa, alla fine però l’Europa non si è sgretolata, anche se ci sono stati molti momenti in cui mi sono sentita sola, ho dovuto combattere molte battaglie, esattamente come Wolfgang Schäuble. Questa crisi invece è anche molto diversa, perché arrivano da noi persone con un background culturale così diverso. Motivo per cui le persone si chiedono come cambierà il nostro Paese, come riusciremo a integrarli, se ce la faremo.
Ma io sono Bundeskanzlerin proprio per risolvere, gestire, insieme ad altri, questi eventi. Per trovare la strada migliore anche per difendere gli interessi della Germania. So bene com’è la situazione nei comuni, nelle piccole circoscrizioni, quante persone hanno fatto gli straordinari, quello che fanno i poliziotti, di tutto questo sono consapevole, eppure continuo a essere convinta che da questa sfida usciremo più forti di quanto fossimo prima. E questo vale anche per l’Europa.

Cosa dovrebbe accadere perché lei dica: no, questo è un vicolo cieco, ora cambio rotta.

Non vedo sinceramente nulla che mi possa portare a questa conclusione. Perché il piano è ben studiato, perché è logico. E nessuno mette in dubbio questa logica. Anche Horst Seehofer mi dice: “Ti auguro successo”. Poi però ci sono molti che non ci credono. Per questo mi auguro di trovare sempre più persone che condividono la mia visione, perché è l’unione che fa la forza, che sposta montagne. Penso che questa sia la via da percorrere in un mondo sempre interconnesso, in un mondo dove vogliamo avere buoni rapporti di vicinato anche tra 10-20 anni. E così come l’Europa è stato un progetto che ha avuto come fine quello di costruire ponti, ponti che dopo la Seconda guerra mondiale hanno fatto avvicinare nemici giurati come Germania e Francia, tocca oggi a noi costruire ponti e aiutare le persone in pericolo, affinché possano comunque restare vicine ai loro Paesi, e così facendo si ridurrà anche il numero di profughi che arrivano da noi.

Parte 2/2 – (Traduzione a cura di Andrea Affaticati) – La prima parte dell’intervista si può leggere qui



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