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Un paio di verità (urticanti) sui migranti

Migranti migrazione

Tripoli, bel suol d’amore/ giunga a te lieta questa mia canzon/ sventoli il tricolore/ sulle tue torri al rombo del cannon/ naviga, o carazzata/ placido è  il vento e dolce la stagion/ Tripoli, terra incantata/ sarà italiana al rombo del cannon…’’. Così cantavano nei teatri in Italia all’inizio della Guerra libica (1911-1912). Che cosa canteremo oggi?

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Per anni abbiamo voluto credere che il problema dell’accoglienza dei migranti fosse in prevalenza nostro e che l’Europa matrigna ci avesse lasciato soli ad affrontarlo. Oggi ci accorgiamo che condividiamo soltanto una parte del dramma che si svolge in ogni latitudine del Vecchio (non solo come storia ma come inarrestabile trend demografico della sua popolazione) Continente. Basta vedere ciò che succede in Grecia, nei Balcani, sul Canale della Manica o, grazie al viaggio del Papa, sul confine tra Usa e Messico, per comprendere che siamo in presenza di un fenomeno di carattere strutturale, destinato a cambiare la fisionomia del pianeta.

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Il piccolo Jacob è un bambino tedesco. Suo padre, nipote di un mio caro amico, è un ingegnere italiano che ha sposato una cittadina di quel Paese, vive e lavora lì. Quando ci incontriamo, l’amico mi parla volentieri di questo bambino che per lui rappresenta ed incorpora tutti i cambiamenti che ci attendono in un futuro tanto prossimo da essere già presente. L’ultima volta mi ha raccontato (col tono di uno che ci ha “pensato su’’) che Jacob frequenta l’asilo insieme a tanti piccoli coetanei appartenenti a diverse nazionalità, ognuno dei quali si esprime nella sua lingua madre in attesa di imparare un po’ di tedesco.

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Che l’avventura quotidiana di Jacob sia il segnale di una Torre di Babele della modernità? Come è scritto nel Libro della Genesi il Signore  disse: “Scendiamo dunque e confondiamo la loro lingua, perché non comprendano più l’uno la lingua dell’altro“.

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