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Come si agitano a Napoli gli anti De Magistris

Napoli, in previsione delle elezioni comunali, dopo la querelle che ha visto scontrarsi Antonio Bassolino e il PD, cerca di raccapezzarsi per capire come è possibile costruire una concreta e seria ipotesi di governo per la città, dopo l’esperienza di De Magistris. Non è facile, considerata la confusione esistente tra i cosiddetti partiti e nei partiti, per non dire di un vero e proprio disordine politico. Si è detto della vicenda PD, su cui si è discusso a lungo nelle scorse settimane, c’è adesso da analizzare come i gruppi del centrodestra articoleranno la loro campagna elettorale. In campo restano due candidature: quella di Gianni Lettieri di scaturigine berlusconiana e l’altra di Marcello Taglialatela di provenienza MSI, Alleanza Nazionale, oggi Fratelli d’Italia. Due candidati indubbiamente già esperti di competizioni elettorali amministrative a Napoli, ma entrambi incapaci di esprimere una proposta organica di governo per la città. A dire il vero nessuno l’ha avanzata, perché da solo nessuno riuscirà mai ad elaborarla e a presentarla ai cittadini napoletani, neppure la Valeria Valente, che è espressione di un partito di livello nazionale, meno che mai il candidato del M5S Matteo Brambilla. Neppure Luigi De Magistris, che ha guidato in modo molto discutibile e approssimativo il Comune partenopeo negli ultimi cinque anni. I partiti non sono più quelli classici che, oltre a selezionare le classi dirigenti, si preoccupavano soprattutto di definire una linea politica e una proposta di governo per amministrare l’istituzione che era chiamata a rinnovare i propri consessi rappresentativi. I partiti oggi servono a rastrellare consenso, a legittimare il potere e i loro capi. Niente di più, possono chiamarsi anche club, circoli, comitati la parola partito può essere tranquillamente eliminata. Le idee, le proposte, le scelte di governo, la volontà politica sono assenti, e allora che succede? I candidati più ricchi si avvalgono della collaborazione retribuita di cosiddetti apparati tecnici, che suggeriscono agli aspiranti come realizzare le opere materiali e immateriali, a prescindere dalle esigenze e dalla volontà delle comunità. Chi ha denaro fa politica. Questa è la fine della democrazia, o al limite se si vuole è una democrazia fittizia. I cittadini vanno alle urne solo per legittimare gli eletti, non votano proposte, programmi, idee. Non a caso, ci si domanda perché andare ancora a votare? Gianni Lettieri candidato di Forza Italia, ma più di qualche sussurro avverte che è gradito anche al presidente della Campania Vincenzo De Luca, ha tappezzato la città di manifesti, indicando tutte le cose che non vanno, benissimo. Quali i rimedi o le ricette per migliorarle? Nessuno. Una campagna elettorale che enuclea tutte le cose che non funzionano, senza indicare come porvi rimedio ha decisamente del farlocco, i soliti cahiers de doléances. Alla gente interessano le idee in positivo, non altre.

La precaria condizione e la disaffezione conclamata verso la politica rischiano di “regalare” a Napoli per altri cinque anni il sindaco uscente Luigi De Magistris, un signore senza partito, che è riuscito a far politica utilizzando il “partito dei magistrati”, capeggiato da quel Di Pietro che tutti ricordano bene. Grazie però anche a delle inchieste giudiziarie molto discutibili su importanti esponenti politici, che il Consiglio Superiore della Magistratura censurò severamente. Ci si chiederà: allora De Magistris ha fatto bene, se è possibile la sua rielezione? No, non ha fatto bene. Anzi, ma oggi si presenta, miracolo della moderna politica, come il male minore. Questa è l’amara conclusione per una Napoli che ha voglia di uscire dal sottosviluppo, dalla povertà, dalla cappa opprimente dell’emarginazione, dal soffocamento della criminalità, e che, invece, con  tali premesse farà l’ennesimo salto nel buio.

Una considerazione: si rinnovino i partiti, sostenuti da idee e culture; l’appartenenza sia elemento dirimente; si elimini questo sistema elettorale diventato ormai podestarile, che se da un lato deve garantire stabilità dall’altro non agevola la governabilità, sminuendo e mortificando i consigli comunali, voce essenziale delle comunità locali. Le norme, se non ci sarà alcun cambiamento, produrranno maggiore proliferazione di liste e di autocandidature, senza alcun legame programmatico con le comunità locali.

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