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Nichi Vendola, Ritanna Armeni e le associazioni femministe silenti

L’altra sera a Roma, durante una corsa in taxi, non ho potuto fare a meno di ascoltare la trasmissione di una radio privata su cui era sintonizzato il conducente. Si parlava d’amore; i conduttori leggevano belle lettere arrivate in redazione e conversavano amabilmente con chi telefonava per raccontare la propria storia. Il fatto è che, in larga maggioranza, i protagonisti erano omosessuali. Nessuno scandalo. Gli antichi filosofi dicevano che niente di ciò che è umano può essere considerato a noi estraneo. Poi, se Papa Francesco in persona non si sente all’altezza di giudicare un omosessuale figuriamoci se pretendo di farlo io. La mattina dopo, tornato nella mia città, sono salito su di un altro taxi per arrivare prima a casa dalle mie amate gattine. La radio trasmetteva una conversazione sulla bisessualità. Mi sono chiesto se si trattasse di una coincidenza o di una nuova e diffusa linea editoriale.

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Per fortuna sul problema della maternità surrogata cominciano a farsi sentire anche le donne. Non le madri di famiglia che hanno partecipato al Family day, ma vere e proprie personalità storiche della lotta per la liberazione della donna che si stanno unendo alle poche che non sono mai state zitte. Si tratta però di casi individuali. Ritanna Armeni è una di queste coraggiose. Adele Grisendi, già dirigente della Cgil, ha scritto un articolo durissimo sul quotidiano Libero. Altre hanno cominciato a denunciare una pratica che non è solo mercantilistica (al limite di un legame schiavistico accettato e remunerato), ma che apre per il genere umano prospettive in cui è pericoloso avventurarsi. E le associazioni?

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Se il caso di Tobia Antonio si fosse conosciuto prima, come sarebbe andato il voto sul disegno di legge Cirinnà? E come sarebbe stato giudicato, dai critici del testo uscito dal Senato e dall’opinione pubblica, lo stralcio della stepchild adoption?

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Ecco un altro florilegio giudiziario: l’adozione incrociata della prole della compagna in una coppia di lesbiche. Almeno, però, quelle figlie le hanno partorite loro.


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