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Cosa faremo al Nuclear security summit. Parla Incarnato

Il 31 marzo inizia a Washington la due-giorni del quarto e ultimo Summit per la sicurezza nucleare, nato nel 2010 su impulso del presidente degli Stati Uniti Barack Obama e destinato a lasciare un’eredità importante per l’intera comunità internazionale. Il tema trattato è di particolare interesse visto il suo legame con le dinamiche internazionali di cooperazione e la necessità di contrastare l’insorgere di un potenziale terrorismo nucleare.

I recenti fatti di Bruxelles hanno acceso i riflettori sul rischio che si corre, ma governanti e addetti ai lavori stanno portando avanti già da tempo un prezioso lavoro propedeutico al mantenimento della pace e della sicurezza internazionale. I passi da fare sono ancora molti, ma la strada intrapresa – fatta di controlli, monitoraggi e cooperazione tecnica tra Stati -, rappresenta un esempio ben riuscito di dialogo internazionale da dover implementare ed estendere anche in altri settori.

A fare il quadro della situazione con Formiche.net è Gianfranco Incarnato, diplomatico di lungo corso, direttore centrale per la sicurezza, il disarmo e la non proliferazione della direzione generale per gli Affari politici del ministero degli Affari esteri. In Italia uno dei maggiori esperti in materia, avendo seguito da vicino gli sviluppi del summit in qualità di sherpa.

Direttore, visti i recenti avvenimenti di Bruxelles e le notizie per cui tra gli obiettivi dei terroristi vi fossero anche siti nucleari, ci si chiede qual è il rischio reale che i terroristi entrino in possesso di materiale nucleare.

Parlare di recenti avvenimenti sembra un po’ paradossale. L’attenzione dei lavori preparatori del vertice si stava già concentrando sulla minaccia terroristica. Anzi, l’obiettivo finale dei lavori preparatori è stato dedicato non solo al riesame di tutti i progressi fatti sinora in materia di sicurezza degli impianti nucleari, di sicurezza dei depositi e così via, ma abbiamo avviato un discorso – devo dire anche grazie alla sintonia che è emersa tra Cina e Stati Uniti – sugli impegni che questa stessa comunità di Stati deve mettere in campo per affrontare la minaccia terroristica. I rischi sono alti e, mi dispiace dover aggiungere, non solo con riferimento al materiale nucleare, ma anche chimico e batteriologico (che risulta essere anche abbastanza diffuso e accessibile). Riguardo al nucleare, vi sono stati dei chiari cenni ai piani di attacco ad alcune centrali nucleari belghe, ma materiali sensibili di quel tipo sono rintracciabili anche in tante strutture ospedaliere. Questo significa che in realtà la minaccia ha forme estremamente delicate e complesse. Se non la si smette di agire per compartimenti stagni la risposta rischia di essere inadeguata.

Quali sono gli Stati maggiormente a rischio?

Chiaramente gli Stati con un numero estremamente elevato di centrali nucleari sono i più vulnerabili. Ancora di più lo sono quelli che hanno dispositivi militari (il materiale nucleare per usi militari non rientra tra gli standard internazionali di monitoraggio e controllo, ndr). Ma come accennavo, la minaccia può venire anche da semplici centri radiologici necessari per le cure dei cittadini. I materiali sensibili sono estremamente più diffusi di quanto si possa normalmente immaginare se si circoscrive il pensiero alle sole centrali nucleari.

E in Italia?

In Italia il rischio è oggettivamente minore. Tra l’altro siamo stati i più attivi a portare avanti la collaborazione con gli Usa per il trasferimento di materiale ad alta intensità, sviluppando un programma di rimpatrio di tali materiali che, oltre ad essere stati debilitati nella loro capacità radiologica, vengono in parte usati nelle centrali nucleari statunitensi. Di fatto la nostra vulnerabilità interna è ridotta, ma non dobbiamo comunque dimenticare che siamo circondati da Paesi che hanno un grado di vulnerabilità maggiore. Riflettendo sull’ipotesi di un attentato nucleare, infatti, nell’immediato potrebbero non esserci moltissime vittime, ma enormi superfici sarebbero contaminate per un arco temporale indefinito, con vittime e decessi a lunga scadenza. La minaccia chiaramente è diversa, non è immediata e istantanea, e nessuno può sentirsi ragionevolmente a riparo.

Questo significa che dobbiamo rafforzare sempre di più la cooperazione internazionale?

Dobbiamo ammettere che come Paese siamo fra i più attivi nella direzione di una collaborazione internazionale a tutto raggio e nell’affermazione di una vera integrazione, per esempio dei sistemi di controllo e dei sistemi di intelligence. Purtroppo molti dei nostri richiami nel passato sono caduti un po’ nel vuoto. Ora il fatto che queste osservazioni si siano dimostrate corrette, non deve inorgoglirci, ma semplicemente spingerci a moltiplicare gli sforzi. Soprattutto ora che sul piano internazionale troveremo sicuramente delle orecchie più sensibili a questi argomenti.

Uno degli elementi critici dei sistemi di controllo internazionale è legato alla buona volontà degli Stati. Cosa pensa del sistema attuale?

Il sistema multilaterale esistente – penso in particolare all’Agenzia internazionale per l’energia atomica – è efficace e può esserlo ancora di più. Possiamo affrontare questi problemi con ragionevole fiducia, ma a condizione di non abbassare la guardia e di non considerare che il problema sia stato ridimensionato. Tutt’altro. Il problema è ancora vivo. Ma penso altresì che il modello che si sta sviluppando in campo nucleare dovrebbe essere esteso anche in altri settori.

In tema di controllo delle attività e delle dotazioni nucleari si fa riferimento a risoluzioni (come la 1540 del Consiglio di sicurezza delle N.U.) e strumenti quali le Infcirc dell’Aiea (in particolare la 153 e la 540). E’ un sistema completo e implementato? Quali novità prevede il Summit a riguardo?

Durante il vertice approveremo un piano d’azione specificamente rivolto anche alle Nazioni Unite e all’Interpol che si svilupperà accanto a quello per l’Aiea. Francamente mi sembra un ottimo modello di governance, perché mette insieme dei circuiti al momento ancora separati ma la cui integrazione potrebbe dare ulteriori positivi risultati. Come d’altro canto stiamo verificando nell’accordo con l’Iran. In quel caso, infatti, l’accordo prevede un’integrazione dei sistemi di controllo e verifica tale da poterci permettere una maggiore padronanza dei meccanismi commerciali che si metteranno in moto. Questa integrazione dei fora e degli strumenti permetterà di lavorare in una rete di condivisione più stretta che ci darà modo di essere infinitamente più rapidi nell’azione, ove ciò fosse necessario, e infinitamente più penetranti nella capacità di controllo dei fenomeni. Si tratta di un risultato che il processo dei vertici per la sicurezza nucleare può vantarsi di aver portato avanti con successo.

Manca tuttavia una partecipazione globale al Summit.

Si tratta di 52 Paesi – tra cui quest’anno pesa l’assenza della Russia – che non esauriscono il panorama. In campo nucleare sappiamo tutti il rischio che si corre, quindi la mobilitazione c’è, ma non essendo universale gli Stati membri dovranno darsi da fare per convincere coloro che finora ne sono stati fuori a entrare nella rete. In ogni caso, tutto l’esercizio dovrebbe servire da modello per lo sviluppo della cooperazione internazionale – a dir poco indispensabile – anche in altri settori come quello chimico e batteriologico, senza dimenticare i traffici di esplosivi tout court.

A proposito di Russia, perché il Paese ha deciso di non partecipare? Il sistema multilaterale è a rischio?

Credo si tratti essenzialmente di un manifesto politico. In realtà i colleghi russi, con i quali ho avuto modo di interagire più volte, sono fiduciosi affinché il processo si completi positivamente e sono interessati alle sue conseguenze e all’impatto che queste avranno. Dal punto di vista della governance mondiale, questo ha permesso – o ha in qualche modo obbligato – alla Cina di farsi avanti. Un Paese che si è dimostrato attivo nel processo e che si è adoperato molto per raggiungere il consenso utile a facilitare la conclusione delle intese. Ad esempio, nell’affrontare certi temi (in particolare l’impegno contro il terrorismo) temevamo di ritrovarci in una dinamica conflittuale tra India e Pakistan; in realtà abbiamo assistito a un gioco di squadra nel quale gli Usa fornivano assicurazioni agli indiani e i cinesi ai pakistani. E’ stato un vero piacere vederli lavorare insieme in questo modo. 

Tra i principali strumenti messi in campo nell’ambito del Summit ci sono i gift basket, impegni di Paesi volenterosi che agiscono per implementare gli obiettivi individuati durante gli incontri. Può fare qualche esempio?

Uno dei Paesi che ha i gift basket più efficaci è proprio l’Italia. Grazie alla collaborazione che l’Istituto di fisica nucleare di Trieste ha con l’Aiea già da svariato tempo, si sono sviluppati dei corsi in materia di sicurezza nucleare molto avanzati e qualificati, che tra l’altro sono aperti a una membership ben più vasta di quella del vertice stesso. Nel corso degli anni, infatti, sono già 87 i Paesi che hanno deciso di inviare  loro ricercatori ed esperti per approfondire ed elaborare ricerche congiunte e sviluppare nuove tecnologie. Si tratta di un gift basket che si riflette su scala regionale e che viene preso d’esempio a livello globale. Infatti, in Indonesia sta già nascendo un centro analogo a quello di Trieste e altri se ne stanno sviluppando in altre regioni del globo come in America Latina. Altri gift basket ci aiuteranno ad affinare il quadro normativo. In molti casi le legislazioni nazionali sono incongruenti e sottovalutano alcuni aspetti come quello delle sorgenti e dei materiali sensibili. Non si può pensare, ad esempio, che il reparto di radiologia di un ospedale possa avere la stessa protezione di un qualsiasi altro reparto ospedaliero. In questo ambito l’iniziativa è statunitense, come quella legata alla minimizzazione dei gradienti che permette di recuperare grandi quantitativi di materiale sensibile, inserendolo in attività di produzione di energia elettrica o in sistemi che ne riducono la pericolosità. In questo gift basket rientra anche l’Italia e credo che darà grandi risultati anche in futuro.

Si sta pensando anche al tema della cyber security?

Certo. Si tratta di un altro gift basket molto interessante. Qui i rischi e le vulnerabilità per quanto riguarda le centrali nucleari e la connessione alla rete elettrica, ad esempio, sono alti. In questo campo c’è molto da lavorare e l’Aiea ha subito dimostrato di essere particolarmente sensibile all’argomento.

Questo sarà l’ultimo Summit per la sicurezza nucleare. Come e dove si potrà portare avanti la cooperazione tra gli Stati in materia?

Senza dubbio ci dovrà essere l’impegno da parte degli Stati a lavorare nei tre fora cui si è fatto cenno prima – Onu, Aiea e Interpol -, e a salvaguardare altri format come la Global partnership e la Global initiative to combat nuclear terrorism, la cui membership può crescere fino ad assorbire interamente quella del Summit. Il tutto contando, perché no, in un ritorno della Russia nella discussione.

Qual è il suo auspicio per il Summit?

Mi auguro che ci sia qualche ulteriore sorpresa.

Cosa intende?

Che nei colloqui, nei bilaterali e nelle intese a margine ci sia un’atmosfera di collaborazione rafforzata. Abbiamo fatto già parecchio, ma spero che i nostri leader sappiano sorprenderci estendendo le discussioni ad ambiti legati al terrorismo, che è in fin dei conti la sfida primaria. Del resto questi Summit avevano già sullo sfondo la minaccia terroristica. All’inizio non era così preminente come ora, ma non era sottovalutata. In questo campo c’è davvero molto da fare e spero che l’atmosfera del vertice ci aiuti a fare dei passi avanti, a cominciare in primo luogo dall’Unione europea.

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