Il pontificato di Papa Francesco compie tre anni. Il breve tempo non sembra rendere giustizia ai cambiamenti che sono avvenuti nel frattempo dentro e fuori la Chiesa Cattolica. Il magistero di Benedetto XVI era stata la più solenne esaltazione della dottrina cristiana permanente e imperitura della tradizione, sebbene il suo governo della Santa Sede si sia identificato, malauguratamente, con uno dei periodi più critici e bui della storia.
Ad un tratto, quasi per miracolo, tutto è tornato a posto oltretevere.
Nella piovosa piazza davanti a San Pietro, il 13 marzo del 2013, si è affacciato, dopo la clamorosa e discreta rinuncia di Ratzinger, un uomo argentino, praticamente sconosciuto ai più, che avrebbe mutato radicalmente il volto e l’anima della Chiesa. Pochi lo conoscevano come arcivescovo di Buenos Aires. Pochissimi nostri giornali avevano parlato di lui. Ma, come fu detto di San Tommaso da Sant’Alberto Magno, malgrado l’apparente silenzio la sua voce si sarebbe sentita, e sonora, nei secoli.
Inizialmente ha subito fatto comprendere cosa fosse per lui essere cristiano oggi, essere pastore, essere Pontefice. Non una carriera. Non un ufficio aulico da cui guidare ieraticamente l’istituzione ecclesiastica, dove esercitare magari autorevolmente un potere enorme, bensì una missione vera e umile, uno spazio pubblico dove rimanere distaccati, e da cui testimoniare la semplicità del Vangelo, la tenerezza della vita, con il compito di far tornare alla concreta potenza disarmante dell’autenticità personale un’imponente gerarchia millenaria.
La fede è credibile quando è così: chiara, netta, senza banalità e artifici. Joaquin Navarro-Valls scrisse su Repubblica che in quel preciso momento era “finito il Barocco”. E, in effetti, il futuro gli ha dato ragione.
Nei mesi successivi Francesco ha firmato due encicliche fondamentali, Lumen fidei, elaborata a quattro mani con il suo predecessore, e Laudato Sì, di suo pugno. Ha compiuto viaggi importantissimi, in Africa, in America Latina, negli Stati Uniti, in molti luoghi e parrocchie italiane. Ha esposto la sua concezione collegiale dell’episcopato in un’Esortazione apostolica di fondamentale rilevanza, la Evangelium gaudium.
Le due iniziative più importanti che Francesco ha intrapreso sono state sicuramente il doppio sinodo, straordinario e ordinario, dei vescovi sulla famiglia, e il Giubileo della misericordia, anno santo dedicato ad uno dei valori cristiani più profondi tra quelli amati e diffusi da Bergoglio. Il suo magistero non ha ceduto in nessun punto sul piano dottrinale, non distanziandosi mai da quello dei predecessori, applicando e rivestendo tutto il Cristianesimo di freschezza, senso di tangibile accessibilità, presentandolo come un percorso coerente, attuabile da chiunque, perché disegnato con aderenza sul volto di ogni uomo e donna, anche nella complessità di un mondo nuovo e difficile. Questa sensibilità sul presente è l’arma politica e diplomatica vincente e disarmante che Francesco ha esibito con maggiore intensità.
Egli è il primo Papa religioso, ma anche il primo realmente post moderno, che guarda cioè la modernità stessa come un processo storico iniziato dopo il medioevo e finito con Giovanni Paolo II. Non è più l’Europa il baricentro della fede. Non è più l’Occidente il punto di vista privilegiato da cui osservare il pianeta, ma è il mondo intero, con i suoi problemi demografici, bellici ed ecologici a stimolare e reclamare la presenza preziosa e saggia della cristianità. Di qui proviene l’opzione per i poveri, l’accoglienza per i popoli migranti, gli incontri interconfessionali, la critica al globalismo economico e all’indifferentismo, il lavorare dal basso per riunire tutti i cristiani con tutta l’umanità.
La popolarità del Papa è effetto della riconoscibilità autentica di questa fede vissuta, la quale è tutt’uno con l’aderenza al Vangelo della persona, la quale si traduce nell’incorporazione sintonizzata dei gesti e del cuore di Bergoglio con i sentimenti profondi di tutto il genere umano.
Capire Francesco significa, in definitiva, comprendere perché non si possa non essere cristiani essendo umani, e perché la Chiesa è credibile quando i comportamenti rivelano, senza intransigenza e tiepidezza, lo spirituale nel materiale. La sua leadership è naturale almeno tanto quanto soprannaturale appare la forza delle sue riforme e l’efficacia del suo messaggio di speranza e di pace.
Non solo la Chiesa, in definitiva, sta cambiando con Francesco, ma il mondo ha trovato un sicuro anelito di speranza. Per il Papa, infatti, avere una visione solidale e universale in un mondo globale è l’unica strada per tenere aperte le porte della pace quando tutti ormai le chiudono nella rassegnazione della violenza e della guerra contro gli altri.