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Perché la frase di D’Alema su Renzi uomo del Mossad è un caso politico

Sfogliato e risfogliato anche il Corriere della Sera di mercoledì 9 marzo, come quello del giorno precedente, senza trovare una smentita o precisazione di Massimo D’Alema al giudizio attribuitogli il 7 marzo dalla notista politica dello stesso Corriere Maria Teresa Meli su Matteo Renzi, come “uomo del Mossad, da sconfiggere” non foss’altro per questo, si può o si deve ritenere che questa sia davvero la convinzione dell’ex presidente del Consiglio ed ex -fortunatamente ministro degli Esteri italiano. Una convinzione che, per quanto espressa privatamente “in una cena”, nella presunzione forse che non venisse divulgata, diventa a questo punto, cioè confermata di fatto, un caso politico.

Non accade tutti i giorni, né mi sembra che sia mai accaduto, che un leader politico presumibilmente ben informato, visti i ruoli politici e istituzionali svolti in un passato neppure tanto lontano, dia al capo del governo in carica dell’uomo del servizio segreto di uno Stato straniero. Uno Stato, o un governo, quello di Israele, che peraltro lo stesso D’Alema ha recentemente e pubblicamente definito, in una intervista sempre al Corriere della Sera, “più un problema che un alleato”, per l’azione “negativa” che svolgerebbe in un’area tanto difficile e rischiosa come il Medio Oriente, e dintorni.

Il caso di Renzi definito da D’Alema “uomo del Mossad” è tanto più imbarazzante, o inquietante, alla luce della dura polemica avuta per quella intervista dell’ex presidente del Consiglio al Corriere, a metà gennaio, con l’ambasciatore d’Israele in Italia. Polemica evocata nei suoi particolari da Formiche.net ieri, 8 marzo.

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