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L’olio della Tunisia è un ramoscello d’ulivo sbagliato. Parla l’ex ministro De Castro

Tutti vogliamo dare un aiuto alla Tunisia ma cara Mogherini qui “si è sbagliato sia il metodo che il merito, oltre al momento sbagliato: sull’olio c’è un eccesso di produzione europea, c’è una situazione difficile in Puglia a causa della xylella. E poi questo provvedimento l’ha voluto l’Italia, porta la nostra firma e questo fa arrabbiare doppiamente”. È quanto dice, senza troppi giri di parole, a Formiche.net Paolo De Castro, eurodeputato del Partito Democratico, già ministro dell’Agricoltura nei governi D’Alema e Prodi a proposito del via libera a 70mila tonnellate di olio tunisino a dazio zero che questo anno e il prossimo entreranno in Europa. Una misura pensata dopo l’attentato terroristico di Sousse per aiutare l’economia del Paese nordafricano e promossa dall’alto rappresentante per la politica estera europea, Federica Mogherini.

“Abbiamo fondati dubbi che questo provvedimento non serva alla Tunisia – dice l’ex ministro che ora è coordinatore del gruppo dei Socialisti e democratici alla commissione Agricoltura e Sviluppo rurale del Parlamento europeo – ma è servito solo a far arrabbiare i produttori italiani, spagnoli, greci. Non è una difesa corporativa la mia, ma una semplice constatazione dei fatti: l’Europa produce più di due milioni di tonnellate di olio d’oliva, non sono di certo queste quantità che importeremo da Tunisi a impattare negativamente, ma allo stesso tempo non aiutano più di tanto l’economia del paese nordafricano che si poteva sostenere ad esempio con politiche mirate o in settori dove sono competitivi come il turismo”.

Un ramoscello d’ulivo sprecato, dunque?

Certo, la Tunisia poteva essere aiutata in altro modo. Dopo il Processo di Barcellona del 1995 i paesi del Nord Africa sono stati lentamente abbandonati dalle politiche europee. Noi vogliamo cooperare con loro, mettendo in campo delle iniziative per la crescita, di sostegno rurale, come la qualificazione dei loro prodotti che sono anche molto buoni, ma così si è solo sprecata un’occasione e per questo abbiamo votato no.

Diciamo la verità: nessuno compra un olio tunisino, semmai lo si usa per altri scopi…

Ma infatti il favore è stato fatto a qualche commerciale che importa quest’olio a dazio zero, quindi oggi senza pagare le tasse, e lo miscelerà con olive italiane. Solo che se nell’etichetta non scriverà la provenienza allora ecco che scatta la frode e, per questo, il ministro Maurizio Martina fa bene a dire che aumenteranno i controlli. Il rischio è proprio questo: il provvedimento nato per aiutare il sistema agroalimentare tunisino, potrebbe invece finire per alimentare le frodi ed essere di beneficio solo agli importatori che godranno del dazio zero per due anni.

Ci sono stati 500 voti favorevoli. Tanti, non crede?

Sono stati 107 i voti contrari e 42 le astensioni, se si pensa alla delegazione italiana non si arriva neanche ad un terzo dei voti negativi espressi. Quindi il fronte del no non poteva andare oltre ed è chiaro che c’è stata una condivisione del problema con la Spagna e la Grecia ma non si poteva fare molto di più. Il provvedimento comunque è stato migliorato grazie a degli emendamenti che avevo promosso e che sono stati votati in plenaria: uno è l’obbligo della tracciabilità, così si eviteranno le triangolazioni con altri paesi, le olive da cui proviene l’olio devono essere tunisine. L’altro è il divieto di proroga: non si andrà oltre al 2017.

Come se ne esce?

Il dado è tratto, c’è poco da fare. Però bisogna essere realisti: queste quantità d’importazione dalla Tunisia non travolgono il mercato. Non è la situazione del Marocco dove vennero abbattuti i contingenti. Questo olio è regolarmente importato e noi abbiamo bisogno di questo olio che è anche molto buono e, proprio per questo, più che eliminare il dazio potevamo dare strumenti ai contadini tunisini per qualificarlo di più: dall’imbottigliamento alla commercializzazione.

Oggi l’olio, ieri le arance marocchine e i pomodori egiziani. Ma questa Europa apre sempre ma non aiuta mai i suoi agricoltori. O no?

No, questa è una mezza barzelletta. Noi esportiamo 4 miliardi di euro di ortofrutta, la Spagna esporta oltre il doppio di noi. Di fronte a questi numeri i 150 milioni di export del Marocco, i 200 milioni dell’Egitto e le poche decine di milioni della Tunisia non sono un problema. Siamo seri.

Come si spiega allora il piagnisteo dei nostri agricoltori?

Invece di andare a verificare le cause, andiamo a caccia dei colpevoli. Sulle arance, ad esempio, abbiamo perso l’80% del mercato tedesco. Ma le arance siciliane non sono state sostituite dalle quattro arance marocchine ma da quelle spagnole, dove le aziende sono molto più organizzate sul piano commerciale, con consorzi competitivi. Se perdiamo competitività non è per via della concorrenza del Nord Africa, semmai sono i nostri competitor europei che ci tolgono quote di mercato.



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