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Popolare di Milano e Banco Popolare, ecco come e perché il governo tifa per le nozze

Il matrimonio allo studio tra la Popolare di Milano (Bpm) e il Banco Popolare diventa un caso esplicitamente politico, oltre che naturalmente finanziario. Dopo che l’integrazione, complici richieste della Banca centrale europea (Bce) non gradite dai due istituti italiani, era finita in stallo, per farla risorgere è sceso in campo niente meno che il tandem Matteo Renzi-Pier Carlo Padoan.
LA MOSSA DEL GOVERNO
Nel tardo pomeriggio del 18 marzo, il premier Renzi ha preparato il terreno a Padoan: “Tra qualche minuto uscirà una dichiarazione del ministro dell’Economia, che condivido”. Mentre più in generale Renzi ha detto: “Vanno aiutati i processi di integrazione e di fusione. Ci saranno meno banchieri e in prospettiva meno bancari perché non possono esserci 300mila bancari”. Dopodiché, in scia a quanto accaduto di recente con il caso Ansaldo Sts, quando aveva auspicato che andasse in porto l’acquisizione di Hitachi, il ministro Padoan si è schierato ufficialmente a favore della fusione tra Bpm e il Banco Popolare. Ecco che così, a Borsa chiusa, via XX settembre è scesa in campo con una nota in cui dichiara di apprezzare “questa operazione dalla quale nascerà una banca più grande e più forte, in grado di affrontare il mercato nel quadro delle nuove norme europee di settore e quindi capace di erogare più risorse alle imprese, in una stagione in cui il finanziamento degli investimenti è cruciale per il rilancio dell’economia”.
COME FARE CON LA BCE
Insomma, il governo Renzi desidera che le due Popolari non si arrendano per le richieste stringenti della Bce, tra cui una governance snella e una “forte posizione in termini di capitale” con meno crediti deteriorati, ma che anzi continuino sulla strada dell’operazione. “Il ministro dell’Economia e delle Finanze Pier Carlo Padoan si legge sempre nella nota – è informato della determinazione del management di Banca Popolare di Milano e Banco Popolare a procedere nell’operazione di fusione, con il soddisfacimento di tutti i requisiti indicati dalla Bce per il via libera. Una operazione che viene recepita con favore da tutti gli stakeholder e degli investitori”.
LE REAZIONI
Qualcuno ha fatto notare che la lettera di Padoan rappresenta una marcia indietro rispetto al disegno di fine gennaio, quando cioè il ministro dell’Economia aveva riunito in via XX settembre i vertici di Bpm e Ubi, ossia Giuseppe Castagna e Victor Massiah, per verificare una loro disponibilità a una fusione a tre con Mps. Soprattutto, però, qualcun altro ha fatto notare che è quanto meno inconsueto un intervento così forte del governo in una questione tra banche private. Scrive, per esempio, Filippo Buraschi su Milano Finanza del 19 marzo: “Il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan ha preso carta e penna per assumere pubblicamente una posizione su un’operazione finanziaria tra soggetti privati. Si tratta di una discesa in campo inconsueta, a prescindere dalla bontà e dalla strategicità del progetto di aggregazione che Bpm e Banco Popolare stanno mettendo in piedi. E il ministro ha preso posizione non per difendere il sistema bancario dagli spesso incomprensibili diktat della Bce ma, stando a quanto riportato nel comunicato, per persuadere i soci più ritrosi a digerire la fusione”. Buraschi si sofferma su una questione importante: il governo Renzi sta sostenendo apertamente la Bce, come il vicedirettore di Milano Finanza ritiene, oppure sta tentando di mediare tra le due posizioni, cosa che renderebbe tra l’altro più facile alle Popolari far passare qualcuna delle proprie richieste alla ricerca di un compromesso?
LA QUESTIONE SERRA
Sul Giornale, Marcello Zacché sembra in qualche modo avvalorare questa seconda ipotesi. Zacché, innanzi tutto, nota che la presa di posizione a favore del matrimonio è molto simile all’idea espressa in una recente intervista al Sole 24 ore dal finanziere vicino a Renzi, Davide Serra, dal titolo: “Gli investitori dicono sì alla fusione Banco-Bpm”. Nell’intervista, il patron del fondo Algebris, mette in guardia: “In caso di bocciatura dell’aggregazione, temo seri rischi di sistema per le banche più fragili in Italia”. Ebbene, secondo Zacché, “Serra si era portato avanti con il lavoro, anticipando già da qualche giorno l’irritazione del governo per lo stallo della fusione. Recitando però la parte del poliziotto cattivo che Renzi non può certo sostenere: quella dell’attacco alla vigilanza unica della Bce colpevole di ostacolare la fusione tra le due italiane. E mettendo due donne nel mirino: Danièle Nouy, presidente francese della vigilanza, e Sabine Lautenschläger, la sue vice tedesca, viste come due pericolose burocrati. Pericolose soprattutto per Serra, chiacchierato sia per avere investito sempre con grande tempismo in azioni delle popolari, sia per avere lanciato un fondo che investe nelle sofferenze bancarie. I poliziotti buoni, invece, Renzi-Padoan – si legge sempre sul Giornale – si sono limitati alla moral suasion, ancorché pesante come il piombo e rivolta a manager di società private e quotate in Borsa. Bizzarro. Ma comprensibile: un problema nel Banco non sarebbe un’onda anomala durante una mareggiata tirrenica, com’è stato il caso Etruria, bensì uno tsunami da oceano Pacifico. E un eventuale intoppo nel programma di risanamento delle popolari si trasferirebbe subito su altri problemi ancora più minacciosi, tipo Mps”.
ORA CHE SUCCEDE
Ora che il governo è sceso in campo, i preparativi per le nozze sono ripresi di slancio. I due consigli di amministrazione si riuniranno martedì 22 marzo. La via più facile per andare incontro alle richieste della Bce, scrive sul Sole 24 ore Luca Davi, sarebbe l’aumento di capitale, ma i due amministratori delegati, ossia Pier Francesco Saviotti (Banco) e Giuseppe Castagna (Bpm), l’hanno escluso categoricamente a più riprese. “Per rispettare i paletti posti dalla Bce – si legge sul Sole 24 ore – i due manager puntano quindi su un mix di operazioni il cui valore, nel complesso, si aggirerebbe attorno al miliardo e mezzo di euro. Una somma da trovare subito, punto di partenza per il piano industriale (al 2020) chiesto sempre dalla Vigilanza entro la metà di aprile per poter dare il suo benestare all’operazione. Sul tavolo c’è dunque l’ipotesi di vendere asset ritenuti “minori”: il focus, in particolare, sarebbero le partecipazioni del Banco Popolare in Agos Ducato (credito al consumo posseduta al 39%), in Aletti Gestielle sgr e quella di Bpm in Anima holding, che a bilancio vale 132 milioni”. Sarà da vedere se queste operazioni incontreranno il gradimento delle Bce, che ormai sempre di più sembra scrivere il futuro delle banche italiane, governo Renzi o meno.
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