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Qual è il sapore politico del polo Repubblica-Stampa?

Carlo De Benedetti ed Eugenio Scalfari

Con l’annunciato “polo” o fusione, federazione, integrazione – chiamatela come volete – fra Repubblica, Espresso, Stampa e Secolo XIX, se non seguiranno altri, i giornali una volta tanto precedono la politica, anziché seguirla o inseguirla.

I conti c’entrano fino ad un certo punto. O c’entrano solo in modo indiretto, come effetto e non come causa. Più che ad accumulare i guadagni, o a ridurre le perdite, vista la crisi obiettiva e generalizzata del mercato della carta stampata, gli editori di tante storiche testate italiane mirano ad accorpare e influenzare vaste aree di lettori che sono – non dimentichiamolo – anche elettori.

A loro modo gli editori dell’annunciata operazione, soprattutto gli eredi di Gianni Agnelli e del fortunatamente ancor vivo Carlo De Benedetti, hanno deciso di anticipare a loro modo il progetto del Partito della Nazione attribuito, a torto o a ragione, al presidente del Consiglio e segretario del Pd Matteo Renzi. Un partito di carta della Nazione, come di carta è stata per vent’anni la Repubblica fondata da Eugenio Scalfari e gestita, da lui direttamente e poi dai successori, col proposito di rappresentare e persino influenzare le stesse istituzioni, e quanti via via le hanno rappresentate: al governo, all’opposizione e persino nei siti di garanzia, come sono il Quirinale e la Corte Costituzionale.

Non a caso, d’altronde, il gruppo oggi Riffeser, già Monti, dal nome di Attilio, il vecchio e geniale petroliere che era simpaticamente chiamato corsaro dai suoi stessi amici e sostenitori per la rapidità con la quale sapeva collocarsi e ricollocarsi per tenere testa ai cambiamenti e salvare il proprio potere, quando fuse testate storiche come la Nazione, il Resto del Carlino e il Giorno chiamò Quotidiano Nazionale, come tuttora si chiama con le iniziali e il logo QN, la parte comune dei tre giornali. Quotidiano Nazionale da Nazione, intesa in senso politico e non solo giornalistico, come lasciava forse pensare la testata di Firenze.

E pensare – consentitemi un passaggio personale – che a metà ancora degli anni Ottanta, quando in una cena a Bologna il giovane genero di Monti anticipò a direttori e editorialisti della Nazione e del Resto del Carlino l’ambizione di unificare davvero le testate, e non solo i loro conti, Enzo Bettiza ed io, entrambi reduci dal Giornale già di Silvio Berlusconi ma diretto ancora da Indro Montanelli, da cui ci aveva diviso soprattutto il giudizio su Bettino Craxi, ci guardammo in faccia, perplessi, e cercammo di dissuaderlo perché convinti che entrambi i giornali, ai quali non si era ancora aggiunto Il Giorno, fossero troppo radicati nei loro rispettivi territori per diventare qualcosa di diverso. Avevamo evidentemente torto noi e ragione lui, che non ce la perdonò mai, visto che poi uscimmo entrambi dal gruppo: prima Bettiza e poi io, nell’ordine inverso in cui eravamo entrati separandoci da Montanelli.

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Il giornale-partito di carta della Nazione destinato ad essere prodotto o rappresentato dal “polo” appena annunciato dagli editori del gruppo Espresso-Repubblica e Stampa, ormai tanto proiettati altrove – questi ultimi- da uscire dalla combinazione proprietaria del Corriere della Sera, si rivolge ad un pubblico generalmente moderato, essendo quello di sinistra più radicale attratto notoriamente da altre testate. Che seguono o celebrano con maggiore attenzione o riguardo le contestazioni di ogni tipo – No Tav e simili – e i progetti di continua e autolesionistica frantumazione della sinistra dichiaratamente e, una volta tanto, orgogliosamente riformista.

I lettori-elettori moderati dell’annunciato “polo” avranno apprezzato probabilmente l’omelia laica nella quale domenica scorsa, terza di Quaresima, il buon Eugenio Scalfari è finalmente sceso dalla stratosfera della filosofia e dei suoi dialoghi con Papa Francesco per immiserirsi nelle cronache della quotidianità politica e tessere gli elogi di Renzi. Sia per la ragionevole gestione della legge sulle cosiddette unioni civili, amputata della parte controversa a favore delle ambizioni genitoriali delle coppie omosessuali, sia per la partecipazione di Denis Verdini e amici all’operazione, contestata invece con la solita durezza dalla sinistra di vecchio stampo, sia per la felice contaminazione del presidente del Consiglio, e segretario del Pd, con l’aria di Ventotene. Dove in effetti sembra che Renzi abbia respirato cosi tanto davanti alla tomba dell’europeista Altiero Spinelli da accettare, se non addirittura, ispirare al proprio rientro a Roma un documento di sostanziale apertura, secondo Scalfari, al progetto a lungo contestato di un altro passo verso l’Europa federale, da compiere col ricorso ad un ministro unico delle Finanze o del Tesoro, o di entrambe, nella Commissione Europea di Bruxelles, o in qualche altra struttura apposita da definire.

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E’ quanto meno curioso che mentre gli editori – e che editori – cercano di incoraggiare e accorpare i lettori-elettori moderati, i politici che pensano di rappresentarli forse meglio e più dello stesso Renzi, quelli che si definiscono centristi, e che progettano di cambiare titolo alle loro formazioni quando ancora vi contiene qualche riferimento alla destra, come il movimento guidato dal ministro Angelino Alfano, tentano ogni giorno di aumentare, anziché ridurre le loro distanze, e le conseguenti liti. Per cui Verdini, per esempio, vuole portare via parlamentari allo stesso Alfano, e il residuo della Scelta Civica già di Mario Monti, affidato alle parole e all’onnipresenza televisiva del vice ministro dell’Economia Enrico Zanetti, parla inorridito del partito del ministro dell’Interno, che disporrebbe più di posti di potere che di voti. Come se i voti dello stesso Zanetti fossero superiori alle sue deleghe ministeriali.

Gli editori e i loro giornali moderati si accorpano, e i politici che pensano di esserne i rappresentanti più genuini continuano insomma a beccarsi come i polli manzoniani di Renzo, al singolare. Incredibile ma vero. Non parlo poi di quel che resta del centrodestra di conio berlusconiano, a Roma e altrove.

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