Dopo aver creato scompiglio tra i Repubblicani e diviso l’opinione pubblica – americana, ma non solo – Donald Trump è stato protagonista anche in occasione della conferenza annuale organizzata dall’AIPAC – l’American Israel Public Affairs Committee – che quest’anno si è svolta dal 20 al 22 marzo a Washington DC, presso il Verizon Center.
Ecco come la comunità rabbinica americana, la stampa israeliana e la stessa lobby hanno accolto l’intervento del candidato repubblicano.
COSA È L’AIPAC
Fondata nel 1953, l’AIPAC è la principale lobby americana filo-israeliana. Fortune Magazine la definisce una delle più potenti lobby dell’intero panorama politico americano. Per decenni, l’AIPAC ha esercitato pressione sui membri del Congresso, e più in generale sulle alte sfere del potere americano, affinché gli Stati Uniti interrompessero ogni traffico di armi con gli Stati arabi, stemperassero i toni della critica rivolta contro i crescenti insediamenti israeliani e non riconoscessero l’OLP come una legittima organizzazione. Ma, soprattutto, l’AIPAC ha sempre cercato di fare in modo che la linea politica adottata da Washington in Medio Oriente si sposasse con gli interessi del Likud, il partito israeliano, nazionalista-liberale e di centro destra, oggi guidato da Benjamin Netanyahu.
L’AIPAC IERI E OGGI
Mentre nel 2015 a tenere banco è stato l’accordo sul nucleare iraniano – tanto voluto da Obama, quanto osteggiato da Netanyahu – quest’anno non è stato un tema a dividere, bensì uno degli speaker. Si tratta di Donald Trump, che è riuscito a far discutere ancor prima che pronunciasse il suo discorso.
Piuttosto che sull’assenza dei padroni di casa – Obama, impegnato a Cuba, e Netanyahu, che ha pronunciato il suo intervento via satellite – gli occhi sono stati puntati sui candidati Clinton e Trump. “Quest’anno la conferenza si svolge nel mezzo di una imprevedibile quanto controversa elezione presidenziale”, afferma Jonathan Cristol – Fellow presso il World Police Institute di New York – ai microfoni dell’emittente qatarina Al Jazeera.
TRUMP L’OUTSIDER
Un sondaggio condotto lo scorso mese da Gallup – società leader del settore – ha mostrato che il 62 per cento degli americani simpatizza per Israele, mentre solo il 15 per cento per i Palestinesi, riporta Al Jazeera. Tra i primi, la maggior parte solo elettori repubblicani. “Il congresso è pieno di personalità fortemente a favore di Israele, oggigiorno l’opinione pubblica (americana) parteggia per Israele e vuole che l’America lo supporti”, ha detto Malcolm Hoenlein – vice presidente esecutivo della Conference of Presidents of Major American Jewish Organizations – ad Al Jazeera. “Gli americani riconoscono i valori e gli interessi comuni (condivisi con Israele) e questo va al di là di chi sta al governo”, ha proseguito Hoenlein.
Appurato il supporto a stelle e strisce per Israele, la numerosa comunità americana che parteggia per lo Stato ebraico, però, “non può essere definita un blocco monolitico”, scrive il quotidiano israeliano Haaretz. Sebbene tutti i candidati delle presidenziali USA 2016 si riconoscano in una delle correnti di cui questa si compone, l’unico a non ricadere in alcuna di queste categorizzazioni è Trump, prosegue Haaretz.
I RABBINI SI SCHIERANO CONTRO TRUMP
Che l’intervento di Trump non avrebbe riscosso successo era chiaro, non sono solo negli Stati Uniti, ma anche in Israele. Eloquente il sottotitolo scelto da Haaretz per un pezzo sul tema: “Invece che centinaia di sostenitori entusiasti, che esultino a ogni sua parola, Trump si troverà davanti una platea di ebrei critici, che traboccano di disprezzo”.
Nei giorni precedenti l’intervento del magnate americano, alcuni Rabbini americani hanno invocato la protesta, mentre altri hanno suggerito di abbandonare la sala non appena Trump fosse salito sul palco. I Rabbini Michale Knopf e Jesse Olitzsky hanno comunicato di “pianificare di uscire (dal Verizon Center), accompagnati da centinaia di altri rabbini e partecipanti alla conferenza”, riporta Haaretz. “Ci sentiamo obbligati […] a essere solidali con coloro i quali sono stati sistematicamente denigrati da Trump: i nostri fratelli musulmani, messicani, latini, immigrati, donne, disabili, membri della comunità LGBTQI”.
Il Rabbino Eric H. Yoffie – precedente leader del movimento delle comunità ebraiche riformate – ha detto: “Non ci importa che Trump abbia molto amici ebrei e una figlia convertitasi all’ebraismo. Quello che noi sappiamo è che […] Trump ha invocato estremisti di estrema destra e neonazisti a un’interminabile ondata di attacchi violenti contro gli Ebrei”, scrive Haaretz.
Coloro che hanno ideato la protesta, poi, si sono divertiti a trasformare il nome scelto per la conferenza da “Come together” a “Come together against hate”, per sottolineare la volontà di prendere una posizione forte contro le uscite xenofobe e razziste con cui più volte Trump ha condito i suoi discorsi. “I valori che ispirano il nostro movimento sono l’uguaglianza, la diversità la giustizia, l’umiltà e la civiltà”, ha commentato il Rabbino Rick Jacobs – presidente attuale dell’unione delle comunità ebraiche riformate – come si legge sul quotidiano israeliano Jerusalem Post.
TRUMP NON PIACE NEMMENO ALL’AIPAC
Se negli anni passati le conferenze organizzate dall’AIPAC hanno sempre attratto contestatori – generalmente attivisti filo-palestinesi e ultra ortodossi anti-sionisti – quest’anno Trump è stato in grado di radunare molti più dimostranti di quanto non sia mai successo in precedenza, scrive Haaretz. “Trump dà fastidio ai membri dell’AIPAC non per le sue posizioni nei confronti degli Ebrei o di Israele, ma per i suoi continui attacchi nei confronti delle minoranze. […] Sono le sue violente e volgari personali diatribe, il uso razzismo e la sua misoginia, […] così come le sue frequenti istigazioni alla violenza che hanno reso Trump tossico anche per un soggetto di destra come l’AIPAC”, ha commentato Haaretz.
BIBI E TRUMP, QUALE TRA I DUE IL MALE MINORE?
Che Trump non piaccia a molti, dentro e fuori l’AIPAC, è chiaro. Tuttavia, umori della maggioranza a parte, qualcuno ha preferito fare l’avvocato del diavolo.
“Non importa quanto siamo sicuri che Trump non ci piacerà, noi non possiamo permetterci di rifiutare di ascoltare quello che lui ha da dire. Quello che ha da dire potrebbe farci urlare, tuttavia noi dobbiamo ascoltarlo” – ha commentato la giornalista freelance Allison Kaplan Sommer – scrive Haaretz. Secondo Sommer, cioè, boicottare l’intervento di Trump potrebbe essere una mossa potenzialmente dannosa per Israele.
Il giornalista Roy Isacowit, poi, si spinge oltre e afferma che le proteste dovrebbero essere rivolte contro il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu, piuttosto che contro Trump, riporta Haaretz. “L’AIPAC ha riservato continue standing ovation, anno dopo anno, a Benjamin Netanyahu e ad altri israeliani, demagoghi e razzisti […] Quale perversione permette agli Ebrei americani – o alla maggioranza di questi – di considerare Trump l’antitesi dei valori giudaici e Netanyahu l’incarnazione? Quale passaggio cognitivo autorizza a vedere il potenziale fascismo di Trump, ma non la tirannia esercitata da Israele contro i Palestinesi, durante la decade in cui Netanyahu è stato al potere?”.