Si ritiene che una delle ragioni della perdita di competitività delle imprese italiane negli anni passati sia stato il loro scarso livello di meritocrazia. Le aziende che hanno applicato in modo conseguente i concetti del merito hanno dovuto affrontare il tema dell’equità. In sintesi, un ambiente meritocratico si ottiene attraverso processi di valutazione delle persone che consentono all’azienda di identificare le persone più idonee a ricoprire le diverse caselle dell’organigramma e quindi, pensando alle posizioni di comando, a far avanzare i più meritevoli.
Il concetto è molto semplice a dirsi, ma molto complesso nella sua applicazione. Ma soprattutto l’instaurarsi in azienda di una vera meritocrazia è una questione soggetta a molti dubbi. L’indagine annuale di Great Place To Work, infatti, vede i temi della meritocrazia mediamente tra quelli con il più basso livello di percezione: solo il 60% dei dipendenti delle aziende della classifica ritiene la loro un’organizzazione meritocratica, contro una percezione positiva mediamente del 78%. Nelle aziende che non sono entrate in classifica solo il 37% dei dipendenti ritiene la propria organizzazione meritocratica, contro una percezione positiva media del 57%. Anche nelle aziende più meritocratiche, dunque, le persone solo in parte ritengono che vi sia un reale riconoscimento dei meriti.
Consapevoli della criticità del tema, le organizzazioni più sensibili si sono date degli strumenti che permettessero di garantire alle persone di essere trattate equamente. Ecco allora nascere le politiche di ascolto e appello. Di che cosa si tratta? Su tutte le questioni inerenti la valutazione e la gestione del merito, al dipendente viene data la possibilità di ridiscuterle nel caso ritenga di non essere stato trattato in modo equo, magari esaminando l’argomento con il capo del capo, o con il direttore del personale o con qualche ente appositamente preposto. Non sfugge tuttavia il rischio, insito in misure di questo tipo, prima di tutto per chi decide di adire a questo tipo di vie. Ecco allora che si cerca di agire in modo preventivo, pur lasciando e anzi incoraggiando l’utilizzo delle strade formali.
Hilton, la catena di alberghi numero 5 quest’anno nella classifica di Great Place To Work, ritiene che manager e collaboratori debbano avere la capacità di gestire in modo costruttivo i conflitti: una serie di corsi di formazione su come confrontarsi in modo produttivo sono disponibili per tutti i collaboratori della società, nonché forum online di sensibilizzazione. Lidl, la catena di supermercati numero 7 nella classifica di Great Place To Work, ha istituito la figura del Responsabile Personale & Sociale, che è a disposizione dei dipendenti che segnalano problematiche, come ad esempio un rapporto conflittuale con il proprio superiore o con un collega. Mars, azienda del largo consumo numero 3 nella classifica di Great Place To Work, ha al suo interno la figura dell’Ombudsman, che in svedese significa “rappresentante del popolo”.
L’ombudsman viene contattato per aver un parere su come affrontare una specifica situazione o problematica, o semplicemente per avere un’opinione indipendente o una diversa prospettiva su un dato tema. Cisco Systems, l’azienda di soluzioni nel campo delle telecomunicazioni, prima nella classifica di Great Place To Work, si è dotata di un processo formale di escalation alquanto strutturato. All’interno di questo processo possono essere condotte anche delle investigazioni, se il caso lo richiede.
In tutti gli esempi che abbiamo mostrato appaiono evidenti due caratteristiche cardine di un eccellente ambiente di lavoro, la volontà dell’azienda di avere un dialogo aperto con i propri collaboratori, anche sui temi più difficili, e quella di creare un ambiente equo, non dando mai per scontato che la società sia sempre in grado di riconoscere i meriti con obiettività.