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Aborto, individualismo europeo e coscienza della vita

Si sa che le istituzioni europee non godono di buona stampa oggi. Talvolta ciò dipende da un malessere diffuso; talvolta invece da veri e propri atti di autolesionismo politico.

L’ultima uscita del Consiglio d’Europa sarebbe a dir poco ridicola, se la posta in gioco non fosse tanto alta da chiamare in causa addirittura i diritti fondamentali della persona umana, e l’intera storia filosofica e giuridica dell’Occidente. L’Unione è intervenuta, infatti, su un ricorso della Cgil, affermando che le donne nel nostro Paese incontrano ‘notevoli difficoltà’ ad abortire, vedendo consumare ai propri danni, così si dice, una violazione del loro diritto alla salute, sancito dalla Legge 194.

Il motivo dell’intervento non è che tale norma, da sempre molto controversa, neghi l’interruzione di gravidanza, ci mancherebbe altro, ma il fatto che in Italia moltissimi medici optano per l’obiezione di coscienza, non assecondando immediatamente le richieste che vengono loro fatte dalle madri, semplicemente perché non se la sentono di aiutare una donna a sopprimere il proprio figlio.

I medici, che si appellano ai principi della vita, motivo ultimo della professione, sono circa il 70% del totale, una percentuale che giunge in alcune regioni perfino al 90%. Un dato straordinario. Secondo il Consiglio, il Governo italiano dovrebbe operare in modo addirittura urgente non per cambiare una legge troppo favorevole all’aborto, e non più così scontata evidentemente, ma, al contrario, per garantire meglio il cosiddetto ‘diritto alla salute’, assumendo misure opportune che obblighino i medici ad obbedire alla legge contro la loro volontà.

A colpire in questa vicenda, prima di ogni altro commento, è il presupposto che sta al fondo del reclamo, vale a dire l’equiparazione della gravidanza con una malattia, da cui il non essere liberati implicherebbe la violazione inaudita di un essenziale diritto individuale.

Ma come! Davanti al dramma di donne che, per svariate ragioni, si trovano in condizione di giudicare la gestazione, invece che l’evento miracoloso e bellissimo che è, da cui sorge una nuova vita umana, un dramma personale da cui emanciparsi, la risposta europea è liberarsi del figlio e così del problema, anche di fronte ai dubbi intimi del personale medico interessato?

Io mi chiedo, di là di tutto, se a Bruxelles si pensi prima di parlare, e, più in generale, come si debba giudicare un atto tanto assurdo, autoritario e lesivo della libertà come quello consumato contro chi esercita con coscienza un lavoro la cui vocazione ultima è salvare e salvaguardare la vita umana. Oltretutto qui non si chiama in causa la mancanza di una legge, che comunque in Italia c’è al pari degli altri Paesi, ma si apre un reclamo contro uno Stato sovrano perché si pratichi di più l’aborto, ossia più rapidamente, efficacemente e meglio, cancellando gli scrupoli dei dottori e magari giungendo finalmente alla soluzione finale: la totale eliminazione delle nascite.

Diciamo la verità.

Tutti coloro che hanno buon senso sanno benissimo che in una materia tanto delicata non si tratta né di vietare l’aborto, né di punire o discriminare nessuna donna che vi ricorre. È il caso invece di capire il male sociale e la tragedia personale che porta una madre a voler sopprimere un figlio, unendo una considerazione profonda e sensibile di tal genere alla comprensione dei dubbi che un medico, nel caso specifico della maggioranza di loro, sente nascere nel suo animo.

Il dramma è che tale intervento coercitivo, oltre a calpestare il diritto alla vita di un nascituro, uguale e superiore a quello di una madre, annulla lo spirito stesso della legge 194, che non giudica, ovviamente, la gravidanza un male e la gestazione una malattia, ma viene incontro come extrema ratio ad una volontà individuale, la quale deve, prima ancora di tutto il resto, essere capita, resa consapevole della responsabilità e aiutata socialmente a trovare la forza per vincere la paura, magari ricredendosi favorevolmente.

Un’Europa depressa, in crisi da decenni, ormai vecchia e sclerotizzata dovrebbe lavorare, quindi, esattamente nella direzione opposta, muovendosi a livello comunitario, molto più di quanto già fanno molti Paesi membri, per un’inversione di tendenza demografica, disincentivando gli aborti e sostenendo le nascite. E, è importante precisare, tutto ciò dovrebbe essere portato avanti come istanza culturale alta a sostegno di un umanesimo generoso che è l’essenza dell’Occidente, rispettando, insieme alle legittime esigenze individuali di ogni donna, le personali convinzioni interiori di professionisti che tutti i giorni lottano per far sopravvivere e vivere meglio tutti noi, e che non sono chiamati automaticamente a credere nell’aborto come terapia.

Un’Europa così non può piacere perché è irrimediabilmente fallimentare. Tali pronunciamenti sono oltretutto diseducativi, rappresentando il residuo più misero di una visione relativista completamente sbagliata sul piano etico, tra l’altro priva di finalità politiche chiare ed argomentabili razionalmente. Perché, in definitiva, vi è dietro una concezione individualista e materialista della vita in netto contrasto con tutto ciò che di meglio si è pensato da sempre nella nostra civiltà a favore del ‘bene umano’. Il giudizio, in conclusione, è perentorio: una vergogna impopolare e senza appello.

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