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Tutto sul boom della moda islamica

Il ministro italiano dell’Istruzione, Stefania Giannini, ha indossato il hijab, il velo islamico, quando era in visita a Teheran per accompagnare il premier Matteo Renzi. In territorio persiano, anche lei si è piegata alle indicazioni dettate dal Corano in tema di abbigliamento femminile.

COSA DICE IL CORANO

Nella sura (capitolo) XXIV del Corano – conosciuta come an-Nūr (la Luce) – ayat (versetto) 30, Iddio comanda al Profeta Muhammad di chiedere alle donne di “non mostrare, dei loro ornamenti, se non quello che appare; di lasciar scendere il loro khumur fin sul petto”. Per “khumur” si intende il hijab.

Sempre nella sura XXIV, ayat 31: “E dì alle credenti di abbassare i loro sguardi ed essere caste […] non mostrare i loro ornamenti ad altri che ai loro mariti, ai loro padri, ai padri dei loro mariti, ai loro figli, ai figli dei loro mariti, ai loro fratelli, ai figli dei loro fratelli, ai figli delle loro sorelle, alle loro donne, alle schiave che possiedono, ai servi maschi che non hanno desiderio, ai ragazzi impuberi che non hanno interesse per le parti nascoste delle donne”.

QUESTIONE POLITICA

Ma dov’è la sottile linea di confine tra tradizione, cultura e libertà personale? “La libertà delle donne si limita coprendo la pelle”, ha scritto il giornalista Pierluigi Battista sul Corriere della sera il 1° aprile del 2016. Ma la questione è più complessa, perché si estende anche al binomio scelta-imposizione. Negli ultimi mesi si è consumato un acceso dibattito in Francia – dove vivono tra i cinque e i sei milioni di musulmani – dopo che Le Parisien ha pubblicato un servizio sull’apertura dei grandi marchi alla moda islamica, quella che “rispetta” le norme dettate dal Corano in materia di abbigliamento femminile.

Il ministro francese delle Famiglie e dei diritti delle donne, Laurence Rossignol, ha criticato alcuni marchi per aver investito su collezioni in linea con i precetti sharaitici. “Certo, ci sono donne che lo fanno, come c’erano dei negri africani a favore dello schiavismo”, ha detto il ministro.

LE CIFRE DEL MERCATO

Un report di Thomson-Reuters sullo stato dell’economia islamica indica che solo nel 2012 i consumatori musulmani hanno speso 224 miliardi dollari in scarpe e vestiti in Medio Oriente; la cifra aumenta negli Stati Uniti e in Europa. Le Parisien prevede che nel 2019 il mercato musulmano della moda potrebbe arrivare a circa 500 miliardi di dollari, quasi il doppio del 2013. Per questo motivo, i grandi marchi hanno scelto di dedicare alcune collezioni ai clienti musulmani, allestendo le vetrine dei propri showroom nelle principali vie della moda – Champs Elysee, Avenue Montaigne, Faubourg Saint-Honoré, Monte Napoleone e Oxford Street – con hijab e jalabib firmati.

COLLEZIONI DI LUSSO

Già a luglio 2014 DKNY aveva deciso di cavalcare il boom economico del mercato islamico con la linea Donna Karan New York Ramadan, in cui tutti gli abiti rispettavano i precetti islamici. La linea è stata ideata dall’editor kuwaitiana Yalda Golsharifi e dalla designer di Dubai Tamara al Gabbani. Dolce & Gabbana, invece, ha realizzato Abaya, la prima linea di abiti per donne musulmane. I pezzi forte della collezione sono hijab (il velo per coprirsi il capo) adornati con merletti e fiori e abaya (un vestito, solitamente nero, che copre tutto il corpo tranne il volto, i piedi e le mani).

PROPOSTE LOW COST

La catena low cost H&M distribuisce da tempo nei negozi parigini molti dei suoi capi “adattati” alle richieste delle donne musulmane. In una delle campagne pubblicitarie dedicate alla moda sostenibile, il marchio svedese ha presentato donne con il velo. In passato, la firma low cost aveva lanciato una campagna pubblicitaria con una modella musulmana di 17 anni, Mariah Idrissi, la prima fedele con hijab a prestare il proprio volto per H&M. Alle polemiche, H&M ha risposto: “Le nostre collezioni permettono ad ognuno di vestire rispettando la propria personalità, ma non incita a scegliere un modo di vita in particolare”. La catena britannica Mark & Spencer ha messo sul mercato, invece, i “burkinis” – costumi da bagno, con tanto di hijab, che coprono completamente il corpo – mentre Ruqsana Begum, campionessa di kickboxing britannica e musulmana, si è inventata una linea di abbigliamento sportivo che prevede anche il hijab.

MINIGONNA VS HIJAB

Per Battista, la minigonna “non è mai stata solo un capitolo della moda, ma un’idea del mondo […] la minigonna rende democratica, popolare, di massa, la nuova dimensione in cui le ragazze sentono di aver fatto ingresso, per sempre. Spezzando gerarchie […]”. Forse per questo Pierre Beigé, socio e compagno dello stilista Yves Saint Laurent, oggi editore di Le Monde e del Nouvel Observateur, si è detto scandalizzato dal successo della moda per musulmane: “Il ruolo degli stilisti è rendere le donne più libere e non essere complice di chi vuole tenerle nascoste”.

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