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Cosa penso del caso Guidi e Boschi

FEDERICA GUIDI MARIANNA MADIA MARIA ELENA BOSCHI

Il governo Renzi ha un debole: è affascinato dal potere dell’antico “capitalismo” familistico italiano, nonostante si dichiari rottamatore o innovatore che dir si voglia. Le dimissioni del ministro Federica Guidi, coinvolta nella faccenda “petroli di Potenza”, un passato in Confindustria e nelle attività industriali di famiglia, ne sono la riprova. Non bastavano i guai di Banca Etruria e delle altre questioni caratterizzate da ombre, tutte provenienti dal territorio toscano. Renzi nell’inchiesta di Potenza si sta esponendo in prima persona, a dimostrazione che non erano solo Boschi e Guidi ad essere protagoniste. A questo punto è giusto chiedersi perché il presidente del consiglio ha accettato le dimissioni di Guidi?

Non interessa qui però la polemica becera, a favore o contro il governo. Sono cose che competono ai tromboni stonati di turno. Si cerca solo di capire se quella famosa “questione morale” che porta al padre nobile della sinistra, Enrico Berlinguer, esiste ancora in quello spazio politico o meno? Perché, se non è più così, i comunisti di allora, attualmente in servizio permanente effettivo nel PD e negli altri partiti, e che nel tempo che va dal 1992 al 94 scesero in piazza contro la DC e il PSI (Andreotti, Craxi, Forlani), devono confessare che quella che la vulgata chiama tangentopoli fu solo una sceneggiata, per nascondere un’operazione di palazzo da loro sostenuta (colpo di stato?). Essa fu concordata con gruppi occulti e non, fuori e dentro l’Italia, per portare i compagni di Veltroni al potere, e che non ci arrivarono, grazie a Berlusconi che li ostacolò, pagando successivamente in prima persona con processi, condanne e privazioni, come tutti sanno.

A supporto di tale tesi si citano i conciliaboli avvenuti sul famoso panfilo inglese Britannia della casa reale inglese, ormeggiato in quel tempo al largo del mare di Civitavecchia, sul quale molti illustri esponenti italiani e stranieri delle istituzioni, della politica, della managerialità economica e imprenditoriale, dell’informazione assunsero importanti decisioni sul futuro economico (privatizzazioni) dell’Italia. Si può essere ritenuti ingenui o creduloni, ma c’è chi continua a strizzarsi il cervello, per capire se la famosa “questione morale” di Berlinguer o quella di Luigi Sturzo, che invocava in modo perentorio il rispetto dei principi di etica pubblica nella vita politica sono ancora valide, come lo furono in quegli anni. O caso mai il governo a guida PD si sia fatto carico dell’approvazione nottetempo di un decreto, per eliminarle dalla responsabilità di ministri e parlamentari.

Perché, oltre alla Guidi e a Maurizio Lupi che si sono dimessi dal governo spontaneamente per fatti attinenti a condotte morali personali, c’è ancora una schiera di gente tra sottosegretari e ministri dell’esecutivo, investita da intoppi giudiziari o poco trasparenti, in primis Maria Elena Boschi, già coinvolta, suo malgrado, nella questione di Banca Etruria e tirata in ballo anche in questi giorni nella vicenda “petroli di Potenza”. C’è insomma da capire se la tangentopoli del 1992/94 fu un atto di vera giustizia per moralizzare la vita politica o solo un modo per cacciare la DC dal governo e agevolare gli ex comunisti come eredi di quel potere e oggi allegramente intruppati nel PD, a prescindere da etica o altro.

Considerare la morale pubblica una fisarmonica che si apre e si chiude, secondo le convenienze dell’epoca è lo scandalo degli scandali. Oggi e sempre. Guai ad immaginare l’inutilità di una condotta irreprensibile e onesta dei cittadini italiani, ancor di più di esponenti pubblici, che osservano le leggi dello Stato e pagano i tributi, locali e nazionali.


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