È passato un anno da quando Pirelli ha scelto di diventare cinese, con l’ingresso di ChemChina che, attraverso la società Bidco e un’opa da 15 euro sull’azienda, ne detiene la maggioranza.
I PROGETTI DI BORGO
Adesso i piani dei cinesi – che sono entrati anche massicciamente nel consiglio di amministrazione con Ren Jianxin diventato lo scorso ottobre nuovo presidente – sono ben chiari e riguardano l’espansione del core business soprattutto in madre patria. Altro che Italia. Non è un caso che Gregorio Borgo, direttore generale delle operazioni Pirelli, abbia deciso di spiegare i piani di sviluppo al China Daily, annunciando come la società sia pronta “a lavorare con i produttori di automobili cinesi” e puntando soprattutto sulla forte crescita della domanda di Suv di fascia alta e di auto elettriche nel paese orientale.
I NUMERI
In base ai dati di China Association of Automobile Manufactures nel solo nel primo trimestre dell’anno le vendite di Suv in Cina sono aumentate del 58% su base annua e il mercato delle auto di lusso: Ferrari, Porsche e Lamborghini, che sono partner di Pirelli, è cresciuto del 26%. Da qui il passo successivo: l’ideazione di un nuovo pneumatico Drago sport, presentato a Shanghai, che è realizzato completamente nello stabilimento di Yanzhou. Un pneumatico che risponderà, almeno per il top manager del gruppo, alle esigenze del marcato asiatico.
IL FUTURO PER PIRELLI
In pratica si sta realizzando quello che aveva previsto Cesare Romiti proprio durante i caldi giorni dell’operazione: “L’Italia perde ancora un’altra azienda anche per una mancata politica di governo che deve puntare a mantenere nel nostro paese le aziende. La Cina è il più grosso investitore alla Borsa di Milano, e questo va bene. Però portare via interi settori industriali è pericoloso per il nostro paese. Un conto sono gli investimenti, un altro è perdere settori industriali”.
LE MIRE DI XI
D’altra parte ChemChina, insieme ad altri colossi cinesi statali, non fa altro che rispondere ai piani di sviluppo della Cina lanciati dal presidente Xi Jinping. Con il pil che s’è attestato al 6,9% nel 2015, ai minimi degli ultimi 25 anni, l’economia è in rapida trasformazione da un modello trainato da export e investimenti a uno basato su consumi e servizi avendo per riferimento proprio la “nuova normalità” voluta dal partito comunista cinese. In questo scenario, il governo spinge per la “campagna di acquisizioni” schierando le banche statali con finanziamenti a interessi molto modesti. Con l’attuale trend, alcune stime di mercato vedono un 2016 record per il settore M&A della Corporate China, fino a superare i 200 miliardi di controvalore minacciando la leadership degli Stati Uniti. Basta ricordare che per investimenti la Cina ha scalato le posizioni mondiali dal 2007 al 2014, passando dal 17°mo al terzo posto attuale.