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Cosa succede tra i Radicali su Roberto Giachetti e Marco Cappato

Colpo su colpo. Ad appena due giorni di distanza dalla conferenza stampa in cui il nuovo gruppo dirigente dei Radicali Italiani ha presentato il simbolo con cui partecipare alle prossime elezioni comunali a Roma e Milano, la storica sede di via di Torre Argentina ha ospitato un’altra conferenza stampa, in cui l’iniziativa è stata bollata come “incomprensibile”.

Nel primo caso, quello di venerdì scorso, a prendere la parola erano stati i tre componenti della formazione di vertice di Radicali Italiani uscita dal Congresso del 2015: il presidente Marco Cappato, il segretario Riccardo Magi e il tesoriere Valerio Federico. Molto significativa la presenza di Emma Bonino, l’unica dirigente del Partito Radicale il cui prestigio possa essere comparato con quello del fondatore Marco Pannella. Presenza che si è concretizzata nell’invito, rivolto agli elettori romani e milanesi, a concedersi il lusso di avere nei rispettivi consigli comunali qualche consigliere radicale. Perché, come ripetute esperienze a suo dire dimostrano, sono i radicali quelli che, a livello comunale o regionale, possono effettivamente “fare la differenza”.

Apriti cielo. A meno di 48 ore dalla prima conferenza stampa, è stato reso noto un “documento-appello”, firmato innanzitutto dai dirigenti più noti di quella che mi permetterei di definire come l’ala “pannellista” del fronte radicale: in primo luogo Maurizio Turco, tesoriere del Partito Radicale transnazionale, e poi altri ex parlamentari, fra cui Rita Bernardini, Marco Beltrandi, Sergio D’Elia ed Elisabetta Zamparutti, oltre ad alcune decine di altri dirigenti e militanti (a fine giornata, le firme avevano raggiunto il centinaio).

Nell’appello pubblicato da L’Unità – che con la direzione Erasmo D’Angelis ha già offerto più volte la sua ospitalità alle voci provenienti dal mondo radicale – si afferma di comprendere che la presentazione di liste connotate come radicali alle comunali di Roma e di Milano “possa apparire un primo, essenziale passo per chi mira a dare un senso esplicito, conseguente ed esemplare, alla svolta politica maturata e rivendicata al Congresso di novembre 2015 di Radicali Italiani. Noi abbiamo però un’altra visione, un altro progetto, altri metodi e altri obiettivi” si afferma ancora nel documento.

In cosa consiste, dunque, la differenza di visione politica che separa queste due tendenze attualmente presenti fra i dirigenti radicali? In sostanza, le accuse rivolte dai pannellisti ai vincitori dell’ultimo Congresso radicale sono tre. La prima, relativa all’analisi della situazione politica e giuridica in cui verserebbe il nostro paese. La seconda, di tipo formale e la terza, riguardante il che fare.

Cominciamo dalla prima. Nell’appello si afferma che “la realtà del regime italiano, anti-Stato di diritto, anti-democratico, anti-liberale” è tale “da impedire non solo il competere, ma anche il solo presentarsi alle elezioni di qualsiasi ordine e grado”. Infatti, secondo gli estensori del documento, non esistono né “le condizioni”, né “le garanzie minime” per “concorrere in una elezione davvero democratica”.

La nostra – ha sostenuto Turco nella conferenza stampa – è un’analisi, non un’ideologia”. Ora, a parere di chi scrive, a monte di queste parole c’è l’antico discorso di Marco Pannella contro la partitocrazia, e quindi, contro il regime partitocratrico che si sarebbe impossessato del potere nel nostro Paese ai tempi della Prima Repubblica. Discorso che, ovviamente, può essere considerato condivisibile o non condivisibile, per quanto riguarda le sue origini e il suo approdo, ma che era comunque non privo di una sua vivacità. Nel corso degli anni, invece, tale discorso si è venuto trasformando, specie nelle parole dei seguaci più ortodossi, proprio in un’ideologia compatta e inscalfibile, refrattaria a qualsiasi confronto con le evoluzioni che, nel bene o nel male, il sistema politico italiano ha vissuto fin qui.

La prima accusa mossa dagli estensori dell’appello all’attuale maggioranza di Radicali Italiani è dunque questa. Con l’atto stesso della presentazione di un simbolo e due liste alle prossime elezioni comunali, negano in radice la tesi fondamentale del Partito Radicale: quella relativa al carattere assolutamente non democratico del cosiddetto “regime italiano”.

Da quest’accusa sostanziale si passa a un rilievo formale. Il documento-appello ricorda infatti che, conformemente alla tesi di cui sopra, “tutti gli Statuti di tutti i soggetti della galassia radicale hanno precluso la presentazione in quanto radicali a qualsiasi tipo di elezione”. Infatti, per restare nei confini dell’ortodossia pannelliana, da molti anni a questa parte, quando i radicali hanno partecipato a diverse elezioni politiche o amministrative lo hanno fatto sempre con liste che ricorrevano, di volta in volta, a una qualche denominazioni ad hoc, ma non si fregiavano di appellativi che facessero un riferimento secco al nome dei radicali. Cosa invece fatta adesso da Magi e Cappato, le cui liste saranno presentate sotto un simbolo intestato, per l’appunto, ai “Radicali”, con l’ulteriore specifica di “federalisti, laici, ecologisti”.

Ma il rilevo principale, ovviamente, è il terzo, ovvero quello relativo alla prospettiva politica. Nel corso della conferenza stampa, l’ex segretaria di Radicali Italiani, Rita Bernardini, ha ricordato di aver presentato al Congresso del 2015 la proposta di impegnare l’associazione principalmente a sostegno della campagna attualmente portata avanti dal Partito radicale transnazionale. Una campagna volta, secondo quanto scritto nel documento-appello, a “mettere in moto – a partire dall’Italia, ma non solo in Italia – la transizione verso lo Stato di Diritto contro la Ragion di Stato, attraverso l’affermazione del diritto umano alla Conoscenza, che è innanzitutto conoscenza di quel che il Potere fa a nome dei suoi cittadini”.

Qualsiasi cosa ciò voglia dire, non si vede, a un primo sguardo, perché la partecipazione a delle elezioni comunali dovrebbe essere in contrasto con un così vasto programma. Ma questo lo ha spiegato chiaramente uno storico dirigente come Angiolo Bandinelli, il quale, partecipando alla conferenza stampa in collegamento telefonico, ha sottolineato l’importanza di un concetto espresso nella parte finale dell’appello: quello di “alterità radicale”. Alterità che, dice ancora il documento, “vogliamo continuare ad affermare e praticare”. Il pericolo da evitare, nelle parole di Bandinelli, sarebbe dunque quello della “normalizzazione” del Partito Radicale, facendolo rientrare in quel sistema che ha portato alla formazione della partitocrazia. Una valutazione fondamentale, questa, cui si aggiunge quella, più pragmatica, secondo cui le ristrette forze del mondo politico radicale non potrebbero affrontare troppi obiettivi contemporaneamente. In sostanza, sempre secondo Bandinelli, le elezioni comunali potrebbero finire per distrarre i Radicali dal perseguire il principale obiettivo indicato da Pannella.

Gli organizzatori della conferenza stampa, peraltro, avevano già dato vita nei giorni scorsi al comitato dei radicali “per Giachetti”. Non faranno mancare – hanno assicurato – il loro convinto sostegno al candidato del Pd a sindaco di Roma. D’altronde, Roberto Giachetti hè – nel gergo radicale – una”doppia tessera”: è iscritto al Partito Radicale oltreché al Pd. La sua storia personale, dunque, costituisce un elemento di “rassicurazione” su quanto potrà fare come primo cittadino della Capitale.

Tutti d’accordo, quindi, nel sostenere il candidato Giachetti. Ma una vera e propria spaccatura circa la partecipazione di liste radicali alle prossime comunali. Al di là dell’oggetto immediato del contendere, si tratta di uno scontro esploso adesso, ma che covava da tempo. Ed è uno scontro che verte sul futuro dell’area radicale e dei soggetti che la compongono.

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