Mentre gli Stati Uniti rilanciano in Siria come in Iraq la lotta allo Stato islamico, schierando ulteriori unità da combattimento, gli altri attori della crisi fanno altrettanto, ma seguendo agende diverse. In particolare, l’Iran si sta rafforzando per stringersi ancora di più attorno al regime siriano.
BOMBARDIERI IRANIANI IN UNA BASE SIRIANA
Notizie per il momento non confermate, di cui per primo ha parlato il giornalista specializzato in questioni militari Babak Taghvaee, raccontano dell’arrivo nella base aerea siriana di Tiyas, governatorato di Homs (Siria centro-occidentale), di sei Sukhoi Su 24 Fencer iraniani. Ad accompagnare i bombardieri di fabbricazione russa della IriAf, che sarebbero atterrati sul suolo siriano a metà marzo, due C-130, aerei cargo che potrebbero aver trasportato il personale addetto alla logistica. Si tratterebbe del primo dispiegamento di aerei da combattimento iraniani in Siria; nel 2015 dieci Su-22 inviati da Teheran arrivarono in Siria, ma furono ceduti all’aviazione locale. Secondo le notizie raccolta da Taghvaee, ottenute anche incrociando dichiarazioni ufficiali dell’Iranian Air Force, i Sukhoi arrivati lo scorso mese dovrebbero fare da supporto ravvicinato (CAS) ai paracadutisti incursori della 65th Brigata Nohed, i Berretti Verdi iraniani che sono stati inviati in Siria a partire dall’inizio di aprile (data ufficiosa, il 5).
RIPRENDERE ALEPPO
Aerei e forze speciali dovrebbero servire alle truppe governative siriane come appoggio nella battaglia finale per la presa di Aleppo. La secondo città della Siria è stata oggetto di una poderosa avanzata dei lealisti, coperti da aviazione e artiglieria russa, durata da gennaio fino a metà febbraio: poi tutto d’un tratto la campagna s’è fermata, stallo più politico che militare, perché assediare completamente Aleppo, prenderla ai ribelli, avrebbe significato far saltare in aria qualsiasi genere di speranza nei negoziati: “Una svolta capace di spazzare via ogni ipotesi di negoziato di pace, e per questo gli sponsor russi [hanno] trattenuto i loro alleati sul terreno dal coprire gli ultimi, fatali chilometri” ha scritto sul Foglio Daniele Raineri. E invece della stretta finale è arrivato il cessate il fuoco deciso da Russia e Stati Uniti il 27 febbraio.
LA TREGUA È FINITA, I CIVILI MUOIONO, MA ANCORA SI CERCA DI NEGOZIARE
Ora quella tregua è palesemente saltata, non semplicemente “appesa a un filo” come l’ha definita l’inviato Onu per la crisi Staffan de Mistura, interrotta dai ribelli che nel frattempo si sono rafforzati (ricevendo altri rifornimenti d’armi) e dall’esercito di Bashar el Assad (o meglio, quel che ne resta, visto che è composto in gran parte da milizie sciite mosse dall’Iran dai paesi confinanti, e dagli iraniani stessi, più qualche corpo speciale russo), che si è trovato a dover difendere i guadagni ottenuti ad inizio anno. Con i soliti metodi: giovedì ad Aleppo l’ospedale al Quds di Medici Senza Frontiere è stato distrutto dai bombardamenti lealisti, uccidendo staff medico e pazienti; l’ospedale è, tra l’altro, il principale centro pediatrico rimasto attivo in città. Che il cessate il fuoco è praticamente finito si nota da un dato atroce: il numero giornaliero di morti tra i civili (in foto una elaborazione della BBC basata sui dati delle ong presenti in Siria, e non tiene conti dei morti degli ultimi due giorni) uccisi sia da una parte che dall’altra durante gli scontri: era diminuito nel mese di marzo, poi ha ripreso a crescere dall’inizio di aprile, raggiungendo in questi ultimi giorni livelli pre-tregua; il 19 aprile, con il bombardamento governativo al mercato di Idlib, s’è raggiunto il picco di morti in un solo giorno dall’inizio del 2016.
SE FINISCE LA TREGUA: IL RISCHIO ESCALATION
Se dovesse essere confermata la notizia dell’arrivo dei caccia iraniani, da mettere insieme alla presenza di altre e nuove forze speciali e di nuovi armamenti che Teheran ha inviato per rinforzare l’esercito siriano, ci si troverebbe davanti ad un altro momento critico della guerra. Significherebbe infatti che l’offensiva finale su Aleppo, già nelle scorse settimane pubblicizzata dalle rane dalla bocca larga del regime siriano, sta per partire: e questo potrebbe comportare anche che la Russia, che coordina le operazioni e che fin qui ha smentito la pianificazione, torni ancora più presente in prima linea; si dice “ancora più” perché nonostante gli annunci sul ritiro di metà marzo, i soldati e gli armamenti russi sono restati in Siria tanto quanto in precedenza. Se la Russia torna, gli Stati Uniti hanno già minacciato il rischio di un’escalation, che sul piano pratico potrebbe tradursi con il via libera alla fornitura di armi contraeree ai ribelli.
OBAMA CERCA TEHERAN
Pochi giorni fa sono uscite indiscrezioni a proposito di una lettera inviata a metà marzo dal presidente americano Barack Obama al suo omologo iraniano Hassan Rouhani e alla Guida suprema della Repubblica islamica Ali Khamenei. Per il momento non ci sono commenti ufficiali sulla vicenda. Nella missiva, che sarebbe dovuta restare segreta ma è finita in mano al sito Saham News (affiliato agli antigovernativi del Movimento Verde), la Casa Bianca avrebbe proposto un incontro faccia-a-faccia alle controparti iraniane per discutere su come muoversi in modo coordinato in Siria (e in Yemen e Iraq): il centro della questione, combattere il terrorismo sunnita dello Stato islamico, nemico esistenziale dello stato rivoluzionario sciita iraniano, dovrebbe servire come gancio per allargare il discorso alle dinamiche mediorientali in generale. Sarebbe il primo incontro tra leader dalla crisi del 1979. Il problema, sebbene altre informazioni non confermate sostengano che Rouhani abbia accettato di incontrarsi con Obama per affrontare certi temi (prima della fine dell’Amministrazione, come chiesto da Washington: finestra temporale che sarebbe stata chiaramente esplicitata da quanto scritto da Obama), è che Teheran risponde prevalentemente ad una linea diversa. Due settimane fa c’è stato un altro movimento misterioso: pare che lo stratega plenipotenziario iraniano Qassem Soleimani sia volato a Mosca, in una visita che ha tutto il sapore delle precedenti, ossia fare il punto della situazione in Siria e mettere in agenda gli step successivi; poi sono arrivati i caccia e le nuove armi ai lealisti, poco prima i parà. La Russia non ama gli iraniani come alleati, troppo confessionali, ma li considera indispensabili per sostenere il regime siriano.