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Ecco come l’Italia replica alle tesi farlocche del tedesco Weidmann

Weidmann

La staffilata contro l’Italia arriva con tanto di sorrisetti, come si può vedere da queste foto. Ma la staffilata non è meno virulenta se espressa con i sorrisetti. Anzi può apparire ancora più irriguardosa e strafottente. Ecco le parole precise pronunciate da Jens Weidmann, presidente della Banca centrale tedesca, ieri a Roma.

LE TESI DI WEIDMANN

La Commissione europea tende a scendere a compromessi a danno del rispetto del bilancio, prorogando di volta in volta la scadenza dei periodi di adeguamento per gli Stati in deficit”. Non ha dunque usato giri di parole Weidmann, presidente della Bundesbank, per criticare l’Italia.

LE DIFFERENZE TRA ITALIA E GERMANIA

Weidmann non ha menzionato esplicitamente l’Italia per cortesia diplomatica visto che parla a Villa Almone, placida residenza romana dell’ambasciatore tedesco. Ma il riferimento è chiaro, ha chiosato oggi il quotidiano la Repubblica. Per chi non avesse capito, subito dopo fa nomi e cognomi: “Pier Carlo Padoan e io siamo di opinione diversa. Lui ritiene che le condivisioni di rischi e responsabilità rappresentino forti incentivi a rispettare le regole e a prevenire comportamenti opportunistici. Io non sarei tanto ottimista”. In altri termini, il presidente della Bundesbank rilancia l’idea della Germania e dei Paesi del Nord Europa a porre dei tetti al possesso di titoli di Stato da parte delle banche; proposta avversata da Paesi del Sud Europa, come appunto Italia e Francia.

L’ANALISI DELL’ECONOMISTA FORTIS

Ma è davvero così? Davvero l’Italia deve essere rimandata per non rispettare appieno le regole e la Germania issata ad esempio imperituro di rispetto dei parametri europei? Davvero è balzana l’idea di condividere i rischi, e dunque ad esempio prevedere in Europa una garanzia unica dei depositi come peraltro auspicato negli scorsi giorni dalla Bce? Chi illustra un’altra realtà da tempo è l’economista Marco Fortis, numeri e tabelle alla mano. Ecco quello che negli scorsi giorni ha detto a Formiche.net: “Che tutti i dibattiti sul debito pubblico appaiono sterili se non prendiamo in considerazione più parametri per capire la sostenibilità finanziaria del debito stesso, in primis l’avanzo primario dello Stato, nonché la grande ricchezza finanziaria privata delle nostre famiglie che ammonta a 3mila e 800 miliardi di euro lordi”, ha detto l’economista. Aggiunge Fortis: “L’esperienza ci dimostra che negli ultimi dieci anni i paesi che hanno rischiato il default non sono quelli con alto debito pubblico ma quelli che hanno fatto crescere troppo rapidamente il debito privato senza possedere adeguate ricchezze private e poi lo hanno scaricato sui conti pubblici”.

I CONFRONTI SU DEBITO E DEFICIT

Fortis ha anche ricordato che “in più l’Italia dal 2008 al 2015 in termini monetari ha avuto una crescita percentuale del debito pubblico che è la più bassa in Europa insieme a quella dell’Olanda e della Germania. Certo il nostro rapporto debito Pil è storicamente alto per gli eccessi ereditati dalla Prima Repubblica, ma sono 25 anni che è sopra il 100% senza che ciò abbia mai creato problemi di insolvenza, si sono sempre pagati gli interessi regolarmente e in gran parte cash, grazie al surplus primario. L’Italia è tra i pochi Paesi al mondo che lo possono fare, assieme alla Germania. Gli altri per pagare gli interessi emettono nuovi debiti”.

LA SOTTOLINEATURA DEL CORRIERE

Gli sbuffi del dicastero del Tesoro trovano spazio anche sul Corriere della Sera. In un articolo del quotidiano diretto da Luciano Fontana in cui si riprendono le reazioni informali del governo, si sottolinea che “sul sito del ministero dell’Economia c’è ancora quello studio che confronta la solidità dei sistemi bancari di diversi Paesi. Uno dei criteri utilizzati è l’esposizione ai derivati, strumenti finanziari ad alto rischio”. Ebbene, aggiunge il Corriere della Sera, “se i derivati rappresentano meno del 10% del patrimonio delle banche italiane, quelle tedesche superano il 20%. Ognuno ha i guai suoi. E se le regole vanno cambiate, sui titoli di Stato o sui derivati, è il caso di farlo a livello globale, con l’aggiornamento degli accordi internazionali di Basilea, perché piantare paletti solo in Europa creerebbe un effetto distorsivo con il resto del mondo”.

LA RICOSTRUZIONE DI REPUBBLICA

Ancor più circostanziati gli umori e i malumori del Tesoro dopo le parole di Weidmann nella ricostruzione del quotidiano la Repubblica. Ma le reazioni del ministero dell’Economia retto da Piercarlo Padoan si concentrano nel ribattere con i numeri alle stilettate del presidente della Bundesbank. Ecco quello che si legge sul quotidiano diretto da Mario Calabresi: “Padoan alza appena un sopracciglio, ma le tabelle che i suoi portano sempre nel tablet nelle missioni a Bruxelles, sfatano una serie di luoghi comuni sulla partita Italia- Germania. A vedere infatti i dati del rapporto deficit-Pil, il fatale criterio di Maastricht, negli ultimi vent’anni, dal 1997 quando cominciò di fatto il viaggio dell’euro, la Germania ha sforato il «tetto» per sette volte: dal 2001 al 2005 lo ha fatto regolarmente (tanto che ottenne deroghe anche con l’appoggio della allora presidenza italiana dell’Ecofin) e poi è nuovamente caduta nella «colpa» dell’alto deficit nel biennio 2009-2010. L’Italia ha «peccato » otto volte, ma il risultato non giustifica uno sguardo che si pone costantemente dall’alto verso il basso.

La seconda tabella, di rigorosa fonte Eurostat, è ancora più illuminante e scagiona l’Italia dall’accusa di scansare i sacrifici. Il documento indica il cosiddetto saldo primario, cioè al netto della spesa per interessi, in rapporto al Pil. Qui le cose volgono decisamente a nostro favore: l’Italia, notano al Tesoro, in ventuno anni, dal 1995 al 2015 ha segnato un saldo primario negativo, cioè più spese che entrate al netto di quanto ci costano gli interessi sul debito, una sola volta: era il 2009, all’indomani della Grande crisi scoppiata negli Usa. E Berlino? Ha avuto un saldo primario negativo nel 1996, costantemente nel periodo 2001-2005 e nel biennio della recente crisi 2009-2010.

Sul fronte della spesa, invece, abbiamo agito, eccome. E i sacrifici li abbiamo fatti. «L’Italia ha fatto l’aggiustamento più importante di tutti i Paesi, compresi quelli sottoposti a procedura e quelli che hanno ricevuto il programma di aiuti», fanno sapere dal Tesoro.

Parla un documento ben conosciuto in Europa che si intitola «Consolidamento e sostegno alla crescita», datato marzo 2016: nel periodo critico per l’Europa, con crisi, spread e Grecia, che va dal 2009 al 2014, la spesa pubblica italiana è cresciuta meno di tutti, dell’1,4 per cento, contro il 9 dell’Unione europea e il 12,1 della Germania.

Ancora più eloquente il deficit- Pil: se lo si calcola in media nel periodo tumultuoso 2009-2015 emerge che l’Italia ha mantenuto il disavanzo al 3,5 per cento. Sì, la Germania è rimasta all’1,1 per cento, ma il Pil dell’Italia è precipitato: si è trattato, sottolinea il Tesoro, di uno «sforzo di finanza pubblica straordinario».

Stessa musica per il debito: non è cresciuto perché è esplosa la spesa, ma perché è crollato il Pil. Comunque, osserva il Tesoro, il rapporto debito-Pil si è stabilizzato nel 2015 tant’è che l’Italia, secondo la Commissione, è tra i Paesi a basso rischio per la sostenibilità nel lungo periodo”.


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