Abbiamo vinto? Domenica sera, quando ho visto che il quorum era ormai irraggiungibile, non ci volevo credere. Nelle ultime due settimane, infatti, giornaloni e televisioni avevano cominciato a battere la grancassa e i loro tamburi (soprattutto nella notte, all’ora dei talk show) mandavano un richiamo di guerra: contro le trivelle, contro i petrolieri, contro il petrolio che inquina anche la politica (vedi inchieste in Basilicata) contro tante altre cose, ma soprattutto contro Matteo Renzi.
Sì, inutile nascondere che il tentativo di dare una spallata c’è stato, ha raccolto un’ammucchiata di oppositori (quel che resta di Forza Italia dovrebbe pur chiedere a Renato Brunetta come mai si è messo a cavallo tra Salvini e Grillo, per finire schiacciato dall’uno e sbeffeggiato dall’altro), e ha trovato a sostenerla le spallone possenti di Michele Emiliano il quale continua a considerarsi vincitore. Adesso dice di aver raccolto 14 milioni di voti e lancia la sfida: “Renzi dovrà fare i conti con me”.
Il problema è che nessuno di loro, né lui né tutti gli altri che si sono uniti al suo tentativo di diventare l’anti-Renzi per eccellenza, ha capito cosa percorre l’Italia, che cosa preoccupa gli italiani, che cosa agita le loro notti spesso insonni: la crisi che non finisce, la sicurezza, la difficoltà di gestire l’immigrazione, il lavoro. Nemmeno le campagne giudiziarie (più o meno a orologeria) riescono a smuovere gli animi. L’era di Mani pulite è finita, il giudice vendicatore del popolo è passato, le manette tintinnano ancora, ma fanno parte del rumore di fondo.
A questo esercito del No hanno dato voce i mass media che si erano tenuti per lo più fuori dalla mischia finché il referendum non ha assunto chiaramente la sua dimensione politica. Ecco perché, pur sapendo che né i vecchi né i nuovi mezzi di comunicazione esprimono davvero l’opinione della gente (per non parlare dei sondaggi), alla fine mi ero seriamente allarmato.
Ho partecipato ad alcuni dibattiti televisivi nei quali mi sembrava di fare la parte dell’ultimo illuso sostenitore di un progressismo ottocentesco, “industrialista e sorpassato” (così mi hanno definito), che non aveva tratto lezione né da Heidegger né da Derrida, a differenza di Emiliano, di Greenpeace, dei grillini decostruttivisti e, ça va sans dire, di Salvini che ha già risciacquato i panni nella Senna. Io ero il moderno che non s’accorge di quanto sia invecchiato, il post moderno era altrove, era nella società liquida dei No (alle trivelle, alla Tav, alle pale eoliche, ai termovalorizzatori, ai rigassificatori, ai depuratori, ecc. ecc.), nell’ubiquo Emiliano o nel chou chou dei talk show, quel De Magistris, magistrato anche lui, trasformatosi (anche lui) in demagogo meridionale, una maschera politica che ha rovinato il Mezzogiorno e ha sepolto il meridionalismo.
I conduttori tv, che dovevano essere arbitri, strizzavano molto spesso l’occhio ai sostenitori del referendum. Basta poco per rompere l’equilibrio, basta gestire il microfono: chi parla per primo e per ultimo ha vinto. Io, rimasto nel mezzo, come in una breve apparizione nel primo canale Rai, mi sentivo schiacciato e lo ero.
Invece, non è andata come temevo. Proprio io che mi sono buttato con gli Ottimisti e razionali, ho finito per fare il pessimista e l’irrazionale. E’ che mi avevano depresso alcuni dibattiti ai quali avevo partecipato facendo da bersaglio, come alla sezione del Pd di Ponte Milvio dove praticamente tutti gli intervenuti dichiaravano di votare per il Sì. Erano grosso modo della mia generazione, avevano percorso la lunga traversata nel deserto dal Partito comunista al Partito democratico, poi, intravista l’oasi con le sue fresche acque e scoperto che era presidiata da Renzi, hanno preferito tornare nel deserto.
Ebbene, le mie inquietudini non avevano ragion d’essere. Almeno in questo caso. Perché gli Emiliano di turno sono sinceri nel credere di poter gestire la loro visibilità e una piattaforma di consensi che considerano garantita, per la vera grande spallata, quella sul referendum costituzionale. Anche in tal caso con l’ammucchiata delle opposizioni, con l’armata Brancaleone che va va dagli anarco-sindacalisti ai post-fascisti. Dunque, ci sarà da lavorare, ci sarà pane per gli Ottimisti e razionali che non si sciolgono, ma si preparano a rimettersi in pista contro i cavalieri dell’apocalisse, sempre con serenità e con buon senso, con uno spirito alla Montaigne, si parva licet.