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Giulio Regeni, il New York Times scortica l’Egitto e schiaffeggia la Francia

Regeni

“Le violazioni dei diritti umani in Egitto sotto il presidente Abdel Fattah el Sisi hanno raggiunto nuovi massimi”, scrive l’editorial board del New York Times, ma i governi occidentali che tessono rapporti commerciali con l’Egitto hanno continuato ad ignorarli: “Ora, un’indagine in fase di stallo nel rapimento e omicidio di uno studente italiano ha costretto almeno uno di questi paesi, l’Italia, a riconsiderare la sua relazione. È tempo per le altre democrazie occidentali di riconsiderare la loro”.

PER LA SECONDA VOLTA

È la seconda volta dal ritrovamento del corpo del ricercatore italiano Giulio Regeni che il quotidiano più diffuso del mondo scrive un editoriale per denunciare l’assenza di diritti umani nel paese governato dal presidente/generale Sisi e richiamare l’Occidente a prendere posizioni in merito. Durissima la critica nei confronti dei francesi: “È stato vergognoso il silenzio della Francia, il cui presidente, François Hollande, viaggia al Cairo il lunedì per firmare accordi” miliardari, nell’ottica di una partnership economica, militare, geopolitica, sempre più stretta, nonostante le contraddizioni enormi del governo del Cairo. La visita di Hollande prevista per il 18 aprile, incentrata anche sulla chiusura di contratti sulla vendita di armamenti francesi agli egiziani (altri a quelli già chiusi dei 24 caccia Rafale e delle due portaelicotteri Mistral), si pone anche in contrapposizione ad una proposta di risoluzione avanzata al Parlamento europeo l’8 marzo, in cui, tra le altre cose, al punto 16 si chiede “la sospensione di ogni forma di cooperazione per la sicurezza” con l’Egitto e al 17 si “deplora la vendita di armi [all’Egitto] da parte degli Stati membri dell’UE, in particolare la Francia, la Germania e il Regno Unito”.

L’EGITTO PAGHERA’ UN PREZZO PER LA MORTE DI REGENI?

L’Italia vuole cercare un approccio paneuropeo alla questione, cercando la sponda dell’Alto commissario agli Esteri dell’UE Federica Mogherini, per forzare il Cairo sulla soluzione dell’indagine, dopo che i tentativi di cooperazione sono in stallo e le inchieste congiunte si sono risolte in un nulla di fatto che ha portato Roma a richiamare per consultazioni l’ambasciatore in Egitto Maurizio Massari. Ma non è questione complessa. In Gran Bretagna, paese dove Regeni seguiva il proprio dottorato (all’Università di Cambridge), ci sono volute 10 mila firme raccolte da una petizione popolare perché il governo chiedesse “un’indagine completa e trasparente” sul caso. Il fatto è, come fa notare in un articolo la Reuters, che l’Egitto non è soltanto un partner commerciale di molti paesi europei (l’Italia da sola muove oltre 5 miliardi di euro l’anno di interscambio) e un utile appoggio per le politiche energetiche (vedi il pozzo Zohr, il più grande del Mediterraneo, su cui l’Eni avrà diritto di sfruttamento): la linea dura contro l’estremismo adottata dal presidente Sisi, fa del paese un peso fondamentale per gli equilibri dell’area nordafricana.

LA CRISI LIBICA E LA POSIZIONE DELL’ITALIA

Non è un caso se Parigi ha sfruttato i propri rapporti con il Cairo per tentare di spostare la propria influenza regionale anche in Libia, la più grossa crisi in corso nel Mediterraneo, su cui gli Stati Uniti danno deleghe all’Europa. La Francia ha sposato informalmente la linea egiziana di appoggio a Tobruk, visto che il parlamento in esilio in Cirenaica, l’HoR, è l’unico che effettivamente gode di legittimità (e legittimazione internazionale), posizione in precedenza condivisa anche dall’Italia; Roma credeva nell’Egitto come come alleato per stabilizzare la Libia, il premier Matteo Renzi aveva osannato il ruolo di Sisi in un’intervista con al Jazeera (“Penso che Sisi sia un grande leader”) e il ministro della Difesa Roberta Pinotti aveva stretto accordi di cooperazione con le controparti egiziane alla presenza dell’omologo Sedki Sobhi.

Però, ora che il Consiglio presidenziale s’è insediato a Tripoli sotto egida delle Nazioni Unite, l’Italia ha garantito pieno supporto al nuovo premier Fayez Serraj, nonostante ancora non abbia ricevuto il definitivo placet dell’HoR e il suo arrivo in Libia fatto storcere il naso agli egiziani (il sito specializzato Maghreb Confidential dice che “l’Italia ha stretto la sua cintura intorno a Ahmed Maitig” il vice di Serraj, influenza tripolina). Dinamiche che si sono cominciate a delineare dopo la crisi collegata al caso Regeni; e dunque l’appoggio incondizionato a Serraj può essere stato utilizzato dall’Italia anche come proxy e messaggio verso l’Egitto.

LA RICOSTRUZIONE

Mercoledì sul Foglio è uscito un articolo a firma di Mario Mori, generale, prefetto ed ex capo del Ros dei Carabinieri e del fu Sisde (attuale Aisi, ossia i servizi segreti interni). Mori ricostruisce alcuni passaggi della vicenda di Regeni, partendo dall’incarico di ricerca sui sindacanti liberi ricevuto da Cambridge, per il quale era in Egitto: “I contatti di Giulio Regeni negli ambienti sindacali hanno senz’altro suscitato l’attenzione e l’interesse sia delle persone da lui incontrate che da chi quelle stesse persone stava controllando”. Secondo il generale è probabile che il ricercatore sia finito vittima di un regolamento di conti interno ai meccanismi (più o meno oscuri) del potere egiziano: l’esempio di questo potrebbe essere lo stesso ritrovamento del corpo sul ciglio di una strada. Prassi non usuale nel modus operandi dei servizi segreti, che dopo averlo torturato (perché “l’incarico che lo stagista italiano stava svolgendo non poteva sembrare credibile a chi è abituato a situazioni più semplici, scontate e inserite in un contesto di tragica quotidianità e dove il valore di una vita, per di più di un occidentale, non vale molto”). Di solito, spiega Mori, si cerca un modo per disfarsi delle prove e non di farle trovare: in questo caso invece “doveva essere trovato e diventare strumento di regolamenti di conti che sono in atto nei centri del potere egiziano”. Probabile che anche tra le linee del potere che sorreggono Sisi ci siano delle divisioni: per esempio sulla politica estera fortemente assoggettata alle dinamiche saudite, oppure sulle partnership occidentali con i francesi, o anche sull’appoggio a Tobruk. Un “braccio di ferro tra fazioni” del potere, secondo Mori, che sono arrivate fino al punto di uccidere uno studente occidentale per alzare il livello dello scontro.

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