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Il 12 aprile sarà il giorno in cui Facebook ingoierà il giornalismo?

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Il 12 aprile dopo un periodo di sperimentazione, che ha visto coinvolto un manipolo di testate selezionate, Facebook aprirà i suoi Instant Articles a tutti gli editori.

  1. Cos’è Instant Articles. Nel corso della sua marcia trionfale attraverso la più grande infrastruttura della storia, Facebook – il più diffuso tra i social network – è divenuto la più grande piattaforma per la distribuzione di contenuti del mondo. Con il prevalere della navigazione via mobile, si è presentata la necessità di accelerare il caricamento dei post su dispositivi come smartphone e tablet. In poche parole, nella definizione fornita da Facebook stessa, un Instant Article è “un documento html5 ottimizzato per una rapida performance su mobile, fino a dieci volte la normale velocità di caricamento di un comune sito web, con un ricco potenziale di storytelling, adattabile al design aziendale”. L’html è il linguaggio utilizzato per formattare le pagine web, l’html5 è la versione più recente di questo linguaggio, pubblicata nell’ottobre 2014 dal Consorzio W3C, l’organizzazione internazionale non governativa che si occupa dello sviluppo del Web.

Insomma, Instant Articles è un modo di formattare le pagine web in funzione della miglior navigazione possibile in mobile. Allo stesso modo, Facebook ha sviluppato Canvas, un sistema, indirizzato alle imprese, per pubblicare video pubblicitari a schermo pieno e dal caricamento velocissimo.

A sua volta, Google, l’altra piattaforma prevalente nel campo dell’advertising online, ha sviluppato il progetto Accelerated Mobile Pages. Anche qui, l’obiettivo è un caricamento quasi istantaneo di contenuti su dispositivi mobili.

Insomma: la distribuzione dei contenuti in mobile è il vero campo di battaglia tra i più grandi player del web.

  1. La pubblicità con Instant Articles. Gli editori si trovano di fronte a diverse opzioni. Collegare all’articolo inserzioni proprie – su cui mantengono il 100 per cento dei ricavi – o aprirlo alla pubblicità veicolata dalla piattaforma stessa e ricevere una percentuale del 70 per cento sui ricavi.
  1. Perché. La risposta è elementare: i grandi player della rete hanno tutto l’interesse a mantenere gli utenti all’interno della propria piattaforma, in particolare, della loro app su smartphone o tablet. Leggere un Instant Article significa leggere un contenuto ceduto, di fatto, dall’editore a Facebook in cambio di un introito. E significa anche che il lettore non lo andrà a leggere sul sito della testata che ha prodotto quel contenuto.
  1. Problemi di traffico. Fin dallo scorso anno, Facebook ha sorpassato Google come fonte di referral traffic e oggi è, per alcuni editori, la fonte del 75 per cento del traffico social. Il referral traffic è il traffico non diretto, proveniente, invece, da una fonte esterna come, ad esempio, un link a un articolo collocato sulla pagina Facebook di una testata. Di questioni legate al referral traffic degli editori si occupa Digiday – una media company la cui attività è centrata su media digitali, marketing e pubblicità – in una serie di articoli comparsi fin dallo scorso anno, basati su informazioni provenienti da fonti come le compagnie che producono analisi del traffico online e dagli editori stessi. In uno di questi articoli, firmato l’8 aprile da Lucia Moses, Digiday rileva che il referral traffic proveniente da Facebook e diretto ai siti di testate fortemente impegnate negli Instant Articles ha subito un declino del 20 per cento tra gennaio e marzo. La situazione non è chiara e gli analisti non sono tutti concordi sugli effetti reali di Instant Articles sui siti delle testate coinvolte. Digiday conclude che una strada a disposizione degli editori per affrontare i cali di traffico sia di investire su Facebook per far risalire la visualizzazione dei propri post: “La gente si troverà a dover comprare traffico da Facebook per livellare i picchi e le valli. – ha dichiarato uno degli intervistati – Per farla corta, ci hanno messo il cappio al collo.”
  1. Dove va l’ecosistema dell’informazione (e tutto il resto). In un discorso tenuto a fine febbraio all’Università di Cambridge, Emily Bell, direttore del Tow Center for Digital Journalism presso la Columbia Journalism School, ha affermato che “qualcosa di drammatico sta accadendo nel panorama dei nostri media, nella sfera pubblica, e nell’industria del giornalismo. Il nostro ecosistema informativo è cambiato più sensibilmente negli ultimi cinque anni che, forse, in un qualsiasi periodo degli ultimi cinquecento”. “I social media – ha proseguito Bell – non hanno ingoiato solo il giornalismo, hanno ingoiato tutto. Hanno ingoiato campagne politiche, sistemi bancari, storie personali, l’industria del tempo libero, il commercio, perfino il governo e la sicurezza. Il telefono che abbiamo in tasca è la nostra porta sul mondo. Penso che ciò annunci enormi ed eccitanti opportunità per l’educazione, l’informazione, le relazioni, ma anche un mucchio di possibili rischi esistenziali. […] Il giornalismo è una piccola attività sussidiaria al business principale delle piattaforme social, ma è un interesse centrale per i cittadini.”

A questo punto, consideriamo che le piattaforme web sono divenute la principale fonte di informazione per molti. Molti di noi trascorrono una parte significativa del proprio tempo sulle app social e le cose che facciamo in rete si sono moltiplicate grazie alla rivoluzione del mobile. E questa tendenza sembra essere inarrestabile. “Ora – ha osservato Bell – le notizie sono filtrate attraverso algoritmi e piattaforme che sono opachi e imprevedibili”.

Senza quasi aver il tempo di farci caso ci siamo trovati in un mondo in cui le più grandi piattaforme web hanno un’influenza determinante sulla pubblicazione delle notizie e sulla redditività dell’attività editoriale. E il 12 aprile sarà scritto un nuovo capitolo di questa rivoluzione.

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