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Gli Stati Uniti martellano al Qaeda: ucciso un leader in Siria e altri in Yemen e Somalia

Il portavoce del Pentagono Peter Cook ha dichiarato due giorni fa che un attacco aereo ha colpito Abu Firas al Suri, leader della Jabhat al Nusra, filiale di al Qaeda in Siria. Non è chiaro se si è tratto di un drone o di un caccia (è l’argomento di discussione degli analisti sui social network). Al Suri è stato colpito insieme al figlio in un riunione con altri 20 militanti in corso nella zona di Idlib, nord della Siria; “Abbiamo ritenuto che lui [al-Suri] era presente a quella riunione e stiamo cercando di determinare se è stato rimosso dal campo di battaglia”, ha detto Cook. Mercoledì è arrivata la conferma della morte direttamente dal braccio media di al Nusra sull’uccisione di al Suri.

LA CAMPAGNA AMERICANA CONTRO AL QAEDA

A colpire sono stati gli americani, e dunque le voci che inizialmente avevano parlato di un’azione siriana o russa sono fugate. Il giorno successivo all’annuncio di Washington, un’automobile con a bordo cinque militanti sempre di al Nusra è stata centrata da un Hellfire sganciato da un UAV Reaper, sempre nell’area di Idlib. Un’altra cosa è chiara: gli Stati Uniti sono tornati a colpire al Qaeda in Siria, con la stessa precisione con cui hanno colpito nelle settimane precedenti lo Stato islamico centrando diversi leader di rilievo, Abu Atheer al Absi, Abu Omar al Shishani, Abu Alaa al Afri (per la morte dei quali ancora non c’è stato ancora un’ufficializzazione da parte dell’IS, anzi, sono state diffuse delle foto che riprenderebbero al Shishani nei giorni successivi alla sua presunta uccisione, ma sulla loro autenticità nessuno può scommettere).

La campagna contro l’organizzazione che fu creata da Osama Bin Laden dall’inizio dell’anno ha avuto una spinta: attacchi aerei contro capi qaedisti ci sono stati in Siria, in Yemen, in Somalia (rete degli Shabaab) e in Pakistan, a testimonianza che l’attenzione è alta su al Qaeda nonostante l’IS rappresenti il focus della concentrazione.

L’INTELLIGENCE FUNZIONA

I target killing americani arrivano solitamente dopo lunghi ed accurati pedinamenti: il rischio di danni collaterali va scongiurato, e allo stesso tempo seguire il dossier di un obiettivo può servire per arrivare a ricostruire la sua rete e intrecciare nelle maglie qualcuno di più in alto nella catena di comando. I bersagli vengono tracciati dagli aerei spia che battono continuamente il territorio e dai droni in osservazione costante, ma è evidente che ci siano anche fixers sul terreno: elementi infiltrati o anelli morbidi con cui gli americani sono riusciti a carpire informazioni. Tutto questo apparato richiede impegno e risorse, che Washington sta investendo anche su al Qaeda.

(Nota: conoscendo la paranoia per la sicurezza che caratterizza certe organizzazioni non c’è da stupirsi se il Califfo, per esempio, ha ordinato l’eliminazioni di 15 possibile talpe, passate per le armi perché sospettate di fare il doppio gioco ed essere legate alle vicende che hanno portato i leader dell’IS sotto le bombe).

COLPIRE AL NUSRA

Se colpire al Qaeda in tutte le altre parti del mondo ha un ovvio valore di contro terrorismo, considerando che ancora (e si spera per sempre) è all’organizzazione di Bin Laden che si deve il 9/11, all’attentato che ha cambiato le dinamiche del mondo in epoca recente: ma colpirla in Siria ha un significato ambiguo. Al Nusra combatte il regime siriano e per il momento non ha dimostrato interessi extra siriani, e lo fa anche in coalizione con altre forze ribelli. Alcuni di questi gruppi in joint venture con i qaedisti appartengono alle cosiddette formazioni moderate (anche a quelle con contatti con Washington) e sono le uniche vere forze di opposizione al regime: si sono alleate con i jihadisti per una mera ragione di convenienze, legata alla loro capacità militare. Al Nusra è allo stesso tempo un’entità qaedista ma anche una forza della rivoluzione, in molti casi sostenuta dalla popolazione (sebbene usi metodi spesso estremi ed abbia visioni integraliste). Al Suri, il leader ucciso giorni fa, per esempio, era già uno degli uomini che guidavano l’opposizione ad Hafez Assad, padre di Bashar, tra il 1979 e il 1980 – poi andò a combattere in Afghanistan.

UNA STRATEGIA ERRATA?

È stato un articolo dell’Independent a scrivere che “se veramente è morto uno dei ribelli moderati in un attacco con un drone americano, si consolidano le teorie della cospirazione secondo cui americani e russi stanno segretamente lavorando per mantenere Assad al potere”. Tralasciando i complotti e le cospirazioni, e soprattutto tralasciando il fatto che al Suri fosse un “moderato” (non lo era), affondare al Nusra potrebbe essere una strategia negativa sia in termini di consensi, sia in termini militari, perché liberebbe spazi da un lato a Bashar el Assad, dall’altro allo Stato islamico.

IS CONTRO NUSRA: GUERRA APERTA

IS e al Nusra sono in guerra fratricida tre anni: la scorsa settimana da alcuni account Twitter non ufficiali ma collegati al Califfato sono state diffuse le immagini del vero volto del comandante supremo della Jabhat qaedista, Abu Mohammed al Golani, super ricercato tanto dai droni americani che dagli uomini di Abu Bakr al Baghdadi. Al Golani, la cui identità non era mai stata mostrata prima (in realtà c’era stato uno scoop di Associated Press, ma mai ufficializzato) nemmeno durante la lunga intervista concessa ad al Jazeera, era un tempo un intimo di Baghdadi, per cui ricopriva incarichi di leadership in Iraq: fu questa fiducia che portò l’attuale Califfo a spedirlo in Siria per allargare il fronte dell’Isis. Ma una volta sul suolo siriano, però, Golani non volle sposare il piano califfale di Baghdadi e si riallineò con le direttive centrali di al Qaeda (che chiedevano di limitarsi alla lotta in Siria e in Iraq): da lì nasce una rivalità sanguinaria. Quelle foto, che potrebbero essere vere, riportavano l’hashtag “#wanted_dead“.

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