Gianroberto Casaleggio ha dedicato a Jean-Jacques Rousseau il nuovo sistema operativo on line lasciato in eredità al M5S. Il “padre della democrazia diretta” conquista così un posto di primissimo piano nel pantheon culturale del movimento, in cui siedono altri riveriti maître à penser: il keynesiano Joseph Stiglitz, il neoluddista Jeremy Rifkin, il teorico della decrescita Serge Latouche, la mistica Simone Weil. Ma forse pochi ricordano che Casaleggio nutriva un’ammirazione sconfinata per un eccentrico pensatore americano, Henry David Thoreau (1817-1862). In un’intervista rilasciata al Daily Mail il 9 agosto 2014, il compianto guru dei pentastellati aveva paragonato – quanto ad ascesi esistenziale – la propria residenza di campagna al capanno di Thoreau nei boschi di Walden, luogo che dà il titolo alla sua opera eponima.
Il beniamino dell’ideologo della Rete fino a vent’anni fa era pressoché ignoto a sud delle Alpi. La conoscenza del suo pensiero era limitata ad alcuni circoli intellettuali, che spesso lo accostavano con superficialità a quello di Michail Bakunin e di Pëtr Kropotkin. L’idea di proporlo a un pubblico vasto venne a Gianfranco Miglio, che nel 1993 presentò nella collana Oscar Mondadori un libello scritto da Thoreau sulla disobbedienza civile (“Civil Disobedience”). Come ha osservato Carlo Stagnaro, il politologo lombardo aveva colto con lucidità la sua potenziale carica rivoluzionaria in un’Italia squassata dal ciclone di Tangentopoli. Per il mentore della Lega di Bossi l’edificio repubblicano non andava riformato, ma distrutto e ricostruito senza il timore di infrangere il mito unitario. Perché, citando le parole di Thoreau, “sotto un governo che imprigiona chiunque ingiustamente, il vero posto per un uomo giusto è la prigione”. In realtà, all’inizio del secolo Lev Tolstoj, in una lettera pubblicata dalla “North American Review”, aveva già segnalato l’importanza del pamphlet, che sanciva il diritto di resistere a un potere considerato iniquo e tirannico. Dal canto suo, lo studente di Oxford Mohandas K. Gandhi ne era rimasto profondamente colpito, e nel 1907 lo aveva recensito sulla rivista “Indian Opinion” come modello di protesta non violenta. Gianni Vattimo, invece, con grottesca disinvoltura lo ha riesumato per giustificare addirittura le sassaiole e le molotov dei no-Tav in Val di Susa.
Nel 1849, quando fu dato alle stampe per la prima volta col titolo “Resistance to Civil Government”, Thoreau aveva da poco compiuto trentasette anni. Era nato a Concord, nel Massachusetts. La cittadina era circondata da colline, fiumi, laghi, campi coltivati da contadini infaticabili. In questo “paesaggio favoloso dei suoi sogni infantili”, Thoreau elabora una originale concezione della natura come generatrice di purezza e di verità interiore, negate dalla civiltà – grigia e scialba – del denaro e del consumo. Il “figlio dell’acqua”, che avrà un lettore attento in Marcel Proust, con “Walden” (1854) celebra la libertà dell’individuo immerso nella solitudine della foresta e perennemente proteso alla ricerca del tempo perduto.
Insomma, la Rete con con qualche spruzzata di ecologismo, anarchismo e libertarismo.