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Il plauso di Landini ha per caso nuociuto a Vacchi?

Di Fernando Pineda e Berardo Viola
Alberto Vacchi

Vincenzo Boccia? “Non ho il piacere di conoscerlo”, risponde Maurizio Landini al Corriere della Sera, che gli chiede un commento sul nuovo presidente di Confindustria. Il leader Fiom allontana da sé il sospetto di aver tifato per il candidato perdente, il patron di Ima Alberto Vacchi, cui non manca comunque di tributare gli onori che si devono ai vinti: “Lo conosco perché con lui ho fatto trattative e accordi quando ero segretario Fiom a Bologna”.

Ora che è tutto finito viene quasi voglia di credergli. Quasi. Perché è difficile cancellare dalla memoria per gli addetti ai lavori l’endorsement con cui il sindacato rosso aveva salutato la discesa in campo di Vacchi, aureolato da un memorabile servizio di Rassegna, il settimanale della Cgil, come prototipo dell’imprenditore illuminato. Una lunga carrellata di elogi, che partiva dai delegati di fabbrica, passava per i vertici della Fiom emiliana e finiva con la notizia di un lungo tete à tete Vacchi-Landini giusto alla vigilia della candidatura, come raccontato su Formiche.net ben prima dell’elezione di Boccia al posto di Giorgio Squinzi.

Sindacalisti e molti imprenditore non hanno potuto non notare che tentare la scalata al vertice di Confindustria con un pacchetto di mischia che annovera il numero uno della Fiom tra i sostenitori di spicco inevitabilmente ha prodotto qualche effetto indesiderato. Con il dossier sulla contrattazione ancora aperto, un governo che preme alle porte brandendo – per ora solo a parole – l’arma del salario minimo, lo stallo del negoziato tra sindacati metalmeccanici e Federmeccanica (lo sciopero è in agenda il 20 aprile); ecco, con questo scenario, è davvero possibile escludere che qualcuno nel consiglio generale, al momento di mettere nelle urne la sua scheda, si sia ricordato della corrispondenza di amorosi sensi tra Vacchi e il gran capo della Fiom?

E’ una domanda destinata a rimanere senza risposta, ma il sospetto è legittimo. Ancor più lo è interrogarsi sulle doti, per così dire, di “tocco” di Maurizio Landini. Si sa che Landini è impegnato in un “great game” che ha come posta la conquista della Cgil. Ora, la prima cosa che gli occorre è chiudere il contratto dei metalmeccanici, per non uscire dalla Fiom con il poco invidiabile primato di non averne mai firmato uno, si dice tra i sindacalisti. Avrà pensato – è solo un’ipotesi, per carità – che un presidente non pregiudizialmente ostile a viale dell’Astronomia poteva servire all’operazione. Gli è andata buca, ancora una volta, pazienza. Resta, per il futuro, il problema del “tocco”. Landini ha bruciato uno dopo l’altro tutti i “progetti politici” che ha accarezzato, fino alla Coalizione sociale, che doveva fargli da rampa di lancio come nuovo astro della sinistra-sinistra. Ha fatto e disfatto alleanze, sempre con un’unica costante, zero risultati. E quando ha tentato di ritagliarsi un ruolo da king maker, dentro il sindacato e fuori, si è visto com’è finita. In un’intervista recente al Fatto Quotidiano, quella in cui annunciò il ritiro unilaterale dai talk show per poi presentarsi la sera stessa a Ballarò, aveva detto di vedersi bene in futuro nei panni dell’allenatore, mestiere ostico per il quale – ad occhio e croce – non pare tagliatissimo. Forse, se vogliamo restare nell’immaginifico, ad inquadrare il leader Fiom soccorre più che l’immedesimazione calcistica il parallelo con una figura della mitologia greca: Medusa, la terribile Gorgone che pietrifica chiunque la guardi negli occhi. Chiedete a Vacchi.

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