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L’Italia, l’Egitto e il caso Regeni

Regeni

La famiglia di Giulio Regeni ha tutte le ragioni di questo mondo. Non pochi di quelli che fanno eco all’immenso dolore, a una morte accompagnata da uno strazio atroce, hanno molti torti. Il primo fra questi consiste nel reclamare piena luce su una vicenda che si sa che resterà in ombra, se non buia. O, peggio ancora, sarà illuminata di falso. E’ terribile dirlo, ma non è saggio accrescere la rottura che quella morte comporta.

Che sia stato torturato e ammazzato per quel che sapeva, per quel che inseguiva, o, semplicemente, per quel che rappresentava, Regeni è una vittima che crea un problema serio al governo egiziano. Che tale problema sia stato volutamente innescato, se gli assassini, quindi, sono da annoverarsi fra i nemici di al-Sisi, o che, al contrario, sia sfuggita di mano una squadra di macellai, nel qual caso gli assassini sarebbero persone in qualche modo legate al governo, in entrambe (ovviamente diversissimi fra loro) non è saggio provare a entrare in uno scontro fra forze egiziane. Non certo perché il generale governante sia un irrinunciabile combattente della libertà e della democrazia, ma perché le alternative sono peggiori. E non è una supposizione, perché abbiamo già sperimentato l’abbattimento di Mubarak e l’arrivo al potere della fratellanza musulmana. Non c’è ragione né convenienza a ripetersi.

Non solo non porta a nulla entrare dentro gli scontri egiziani, ma neanche possiamo escludere che qualche mano provi a spintonarci da dietro, per buttarci in quel calderone. E’ passato molto poco tempo da quando si diede l’annuncio, da parte del governo italiano prima e dell’Eni poi, della scoperta del più grande giacimento di gas del Mediterraneo. In acque egiziane e su loro mandato d’esplorazione. Un grande colpo, che è stato cancellato dalle cronache di queste dolorose settimane. Provare a dimenticarlo, o celarlo, non è un segno di rispetto per il dolore di quella morte, ma una condotta non lineare e opaca, propiziando tortuosità e opacità. Non si deve avere paura o imbarazzo, quando si difendono propri interessi materiali. Mi spavento quando vedo il loro travestimento e travisamento, salvo poi farsi fregare scivolando nelle imboscate altrui. La severa e umiliante lezione indiana avrebbe dovuto insegnare qualche cosa: a volere salvare capra e cavoli li si perde entrambe, a favore di un desco altrui.

Quella scoperta pesa, così come anche il ruolo dell’Egitto nella coalizione anti Stato Islamico. E noi italiani non siamo gli unici che provano a far affari e intessere rapporti con questo alleato così particolare. I francesi hanno svolto anche esercitazioni aeree congiunte. Le ricchezze naturali attirano aziende con diverse bandiere. La posizione strategica non ha mai smesso d’essere decisiva. Molti sono gli interessi che l’Egitto attiva. E se non è difficile supporre che la morte del nostro giovane connazionale sia divenuta parte di un conflitto interno a quel Paese, neanche è da escludersi che possa aver contribuito, o provi ad approfittarne, chi punta sul peggioramento delle relazioni italo-egiziane, in modo da allungare le mani su quel che il deterioramento libererebbe. Giusto per dirne una: ancora parliamo di come intervenire in Libia, dopo avere reclamato un ruolo guida in quell’area; nessuno, se sano di mente, può neanche immaginare di condurre colà una guerra allo Stato Islamico se non in rapporto stretto con le forze e le coperture egiziane. La Libia è stata ripetutamente una trappola, almeno non azioniamola con le nostre mani.

Sono molte le ragioni, quindi, per cui i buoni rapporti con al-Sisi sono convenienti. Il che non solo non diminuisce, ma accresce il dolore per quel corpo offeso e soppresso. Un dolore che non può essere lenito dal ripetere cose che si sanno essere fuori dalla realtà, lanciando minacce farlocche o cercando in tanti di alzare la voce, rendendo evidente una sola cosa: non hanno nulla da dire.

(Commento tratto dal profilo Facebook di Davide Giacalone)


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