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La nave col petrolio di Haftar torna in Libia

Dopo quattro giorni di stallo la petroliera “Distya Ameya” torna in Libia. Il cargo battente bandiera indiana era fermo da lunedì a 30 miglia dalle coste di Malta, bloccato dalle autorità locali perché il suo carico era stato considerato illegale. Sul greggio trasportato dalla nave partita dal porto libico di Beida pesava addirittura una sanzione subito imposta dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, a cui il premier libico designato Fayez Serraj e il Consiglio presidenziale da lui diretto, avevano denunciato l’illegalità del viaggio.

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La Distya Ameya aveva infatti imbarcato senza autorizzazione circa 650 mila tonnellate di crude oil proveniente dai pozzi della Cirenaica: il tentativo più concreto della regione orientale della Libia, amministrata dal cosiddetto governo di Tobruk, di vendere greggio in modo indipendente, uscendo dalle direttive della Noc, la società nazionale.

La volontà di Tobruk di muoversi anche sotto questo punto di vista unilateralmente è nota da tempo, ed è considerata una red line oltrepassata la quale potrebbero prendere eccessiva forza le mire separatiste e federaliste che animano diverse posizioni tra politici e miliziani diretti dal presidente del parlamento Agila Saleh e dal generale freelance Khalifa Haftar (e gli sponsor esterni, in primis l’Egitto, che sulla Cirenaica e sul suo petrolio ha da sempre un occhio puntato).

La nave rientrerà nella mattinata di sabato in Libia, con destinazione Az Zawiyah, tra Tripoli e Sabratha, dove c’è un impianto della Noc con possibilità di stoccare offload il petrolio trasportato. La scelta del governo maltese di rispedirla al mittente, s’è sommata alle condizioni “al limite della crisi umanitaria” (definizione del giornalista di Bloomberg Karl Stagno-Navarra) dell’equipaggio, a corti di viveri da giorni, ed ha sbloccato lo stallo. Da Tripoli imponevano il rientro, forti della sponda internazionale (ricevuta esplicitamente con la sanzione imposta dall’Onu), mentre da Tobruk insistevano che il carico era legale, e dunque avrebbe dovuto proseguire il suo viaggio. Ad attenderla c’era un acquirente emiratino, la società DSA Consultancy Fzc: gli Emirati Arabi sono un altro dei partner esterni del governo di Tobruk. La vendita si sarebbe potuta chiudere anche senza attracco, con un travaso di greggio da nave a nave, rendendo meno visibile l’operazione, se non fosse stato per i controlli di Tripoli.

Sentito dal Financial TimesNaji Moghrabi, il capo della non-riconosciuta compagnia petrolifera orientale (entità che persegue l’intenzione di operare in parallelo alla Noc, da Beida e poi in futuro da Bengasi), ha dichiarato che è loro intenzione continuare a vendere “finché ci sono clienti”: “Anche oggi abbiamo ricevuto richieste da aziende in Cina e Russia, sono grandi potenze, sapranno far valere i loro diritti”, ha minacciato.

Intanto però il primo tentativo è andato male: Serraj è protetto dalle Nazioni Unite, che hanno costretto Malta a bloccare la nave, la quale sta rientrando in uno scalo gestito dalla Noc, che già un mese fa ha fatto un endorsement pubblico a Serraj.

 


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